Magnani, lo spirito padovano di New York

La fotografa che vive su due sponde dell’oceano in mostra con il dialogo tra le due città: «Ho conosciuto storie incredibili»
Di Simonetta Zanetti
ZANETTI - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - INTERVISTA A FRANCESCA MAGNANI
ZANETTI - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - INTERVISTA A FRANCESCA MAGNANI

di Simonetta Zanetti

Un uomo passeggia per Padova, alla sua sinistra la pescheria di piazza delle Erbe. A New York, un individuo dai tratti orientaleggianti cammina per Chinatown, sul marciapiede un pesce in mostra attende di essere comprato. Due persone, un solo momento. E all’improvviso due mondi agli antipodi si toccano. Per un istante, le migliaia di chilometri che separano Padova da New York si polverizzano e la geografia diventa uno stato mentale. Un luogo al quale Francesca Magnani è arrivata dopo un lungo viaggio in cui i chilometri si sommano a un percorso interiore e l’approdo, oggi, è “Qui”, in Galleria Samonà a Padova, in uno spazio che sa essere anche tempo. E “Qui” si risolve un percorso di vita che per un lungo periodo è stato di “duplicittà”. Perché Francesca, padovana, 44 anni, una ventina d’anni fa, fresca di laurea in Latino a Bologna e con in tasca un corso di perfezionamento in Antropologia, è partita per New York con una borsa di studio Fulbright - nata con l’intento dello scambio culturale - in Letteratura Comparata. E lì si è fermata, insegnando quello che sapeva, ovvero italiano, alla New York University prima, e alla New School poi. E scoprendo un mondo nuovo, fatto di lezioni di yoga, fotografia - secondo la filosofia per cui se insegni in un corso hai diritto di apprendere gratis in un altro - e di lunghe passeggiate per la città, armata di macchina fotografica. Ma, diversamente da come accade a molti, Francesca non taglia il cordone con la sua città d’origine, continuando a nutrirsi della sua “duplicittà” - dalla quale prende il nome la mostra del 2002 alla NYU, in cui le piazze padovane approdano a Manhattan -: «Ho sempre vissuto questa duplicità, il senso di precarietà» conferma muovendosi tra una foto e l’altra e parlando a raffica, quasi cercando di mantenere il ritmo del flusso mentale sul quale surfa un entusiasmo che pare inesauribile, «non ho mai avuto la smania di sistemarmi qui o lì» chiarisce, ed è evidente che quella che è stata una ventenne di formazione accademica, oggi rifugge dall’idea di essere definita dalle solite etichette tanto rassicuranti in questo mondo.

La strada diventa il suo orizzonte, di qua dell’oceano come di là, la macchina fotografica la collana più preziosa: «Una delle cose belle di New York è il fatto di poter camminare per ore, perché ti permette di imbatterti in storie incredibili» racconta «scattare foto è diventato il mio modo per conversare con la città in maniera silenziosa e intima, imparando a capire sia lei che me». È nelle sue escursioni senza meta che si imbatte nei ballerini di strada a Union Square come a Washington Square, «folgorata dal loro talento, dalla potenza, dalla bellezza e dal rigore che riescono a esprimere persone spesso cresciute per la strada o per le quali la strada è ancora l’unica casa. Ecco, come fanno loro con la danza, per me è vitale raccontare agli altri la bellezza che trovo sul mio cammino. La condivisione diventa anche un modo per centrarsi nella vita» rivela.

Fotografa e racconta storie - ancora una volta sia sulle riviste italiane (tra cui D di Repubblica, IL e Vogue) che americane -, celebri, appunto, quelle dei ballerini di strada: «Stiamo parlando di persone abituate a essere oppresse e discriminate, inizialmente incapaci di capire come potessi voler raccontare senza secondi fini la bellezza che sanno esprimere quando con il gessetto definiscono sulla piazza il loro “Qui”, quella zona franca in cui c’è spazio solo per l’arte - dice - mi piacerebbe portare uno di loro a Padova e farlo ballare davanti al Comune. Del resto ho trovato molto newyorkese la storia di Antonio Carnemolla, il giocoliere che ha trasformato la multa per una performance fuori regola in un’occasione per parlare con il sindaco e organizzare un festival di strada».

Andando a zonzo per New York Francesca si imbatte nelle storie di Tylon e Boogiee, affascinata da quella danza che sembra prendere le movenze dallo yoga ma con cui non si incontrerà mai. È conquistata da quei passi a due con l’asfalto su piazze che così bene ricordano i sampietrini di cui è pavimentata la sua città d’origine. Ed ecco che dipanando quel filo mai spezzato, Padova torna a legarsi a New York. Francesca cammina su quel filo e così la processione del 13 giugno che sfila per Riviera Tito Livio, si imbatte nella parata di Sant’Antonio da Padova sulla Huston Street, mentre in Thompson Street i fedeli festeggiano il Santo portando la sua statua in un’improbabile sfilata a dorso di macchina. E ancora, solo un po’ più in là, le crocerossine nella processione del Santo in Riviera, come d’incanto e un po’ per magia, si trovano a fronteggiare gli street dancers al City Hall Park. E, nelle loro differenze, improvvisamente il cerchio si chiude: «Quando mi imbattevo in immagini speciali mi sembrava impossibile di non poter trovare la stessa eccezionalità anche altrove, a Padova ad esempio. Avevo ragione - conclude - e oggi, quando scatto delle foto, non c’è più alcuno strappo tra qui e lì, perché il mio qui è ovunque».

Francesca sabato dalle 16 incontrerà i visitatori per presentare la campagna di Kickstarter per regalare alla mostra l’immortalità di un catalogo, quindi, tra qualche giorno ripartirà a caccia di nuove storie in un cammino in cui nulla è più vicino o lontano. Perché tutto è qui.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova