Ovidio, la parola che si trasforma in immagine svela l’animo umano e i suoi sentimenti

Alle Scuderie del Quirinale a Roma l’esposizione nata dagli studi di Francesca Ghedini, professore emerito di Archeologia all’Università di Padova  

L’intervista



È morto duemila anni fa, relegato sulle rive del Mar Nero, punito con l’esilio perché il dominio dell’Amore ch’egli cantava, contrastava con quello del Potere che Augusto perseguiva. Ovidio: il sovversivo che in fatto di armi conosceva solo le frecce di Cupido e aveva conquistato i romani con la sua poesia. Ma la fama e quel mondo poetico popolato di amorevoli brame gli sopravvisse. Nell’adattamento di ogni tempo Venere rinasceva più divina e sensuale che mai nella lingua del Rinascimento o nei fasti barocchi e le Metamorfosi fiorivano sulle pareti delle ville come una seconda pelle: Apollo continuava a inseguire Dafne, Orfeo a perdere Euridice, Giove a rapire Ganimede, Narciso a contemplarsi infelice, Leda ad abbracciare in estasi il regale cigno. E pensare che furono i monaci amanuensi nel Medioevo a preservare dall’oblio Ovidio, devoti alla cultura classica e meno moralisti di Augusto.

Francesca Ghedini, professore emerito di Archeologia a Padova, ha dedicato al poeta anni di studio che hanno dato corpo alla mostra allestita alle Scuderie del Quirinale a Roma “Ovidio. Amori, miti e altre storie”, fino al 20 gennaio. Statue classiche, affreschi pompeiani, dipinti d’età moderna, bronzi, avori, argenti, manoscritti si susseguono sala dopo sala, a partire da una sorprendente ouverture di versi al neon di Joseph Kosuth, apoteosi della corrispondenza parola-icona che impronta il karma della mostra.

Quale Ovidio vuole offrire al visitatore una mostra così ricca e affascinante?

«Lo scopo era quello di ricostruire un ritratto di Ovidio che non si limitasse alla prospettiva tradizionale del cantore di miti, ma restituisse al poeta una dimensione storica. Dietro al progetto ci sono anni di lavoro e la collaborazione di colleghi e studenti, anche di altre discipline, che mi hanno aiutato ad analizzare questo straordinario personaggio, poeta e intellettuale, innovatore e contestatore. Abbiamo anche cercato di risolvere il mistero della condanna che lo colpì quando era nel pieno della sua feconda carriera, ma il mistero è rimasto impenetrabile, anche se qualche traccia c’è. I carmi della giovinezza, ad esempio, in cui il poeta esprimeva la sua concezione dell’amore come gioco, come sfida, come libero piacere della carne non potevano certo piacere ad Augusto che aveva emanato rigide leggi per la moralizzazione dei costumi, e ancor meno poteva essere apprezzato il modo con cui il poeta irrideva agli dèi patri, a cui l’imperatore, nelle sue vesti di pontefice massimo, tributava ogni onore. E poi c’era la frequentazione di quel gruppo di dissidenti che si riuniva attorno alle due discusse Giulie, figlia e nipote del fondatore dell’Impero, che come il poeta furono punite con la relegatio».

Perché Ovidio è sempre stato attuale?

«Ovidio è parte ineliminabile della nostra cultura: i suoi versi hanno ispirato tutta l’arte moderna fornendo agli artisti un mondo popolato di dèi ed eroi, satiri e ninfe. Ha offerto agli innamorati le parole dell’amore: non posso vivere né con te né senza di te. Ha influenzato il nostro lessico: cos’è il narcisismo se non una parola che deriva dal suo Narciso, incapace di amare altri che se stesso? e Pigmalione non è forse colui che plasma la materia grezza e la rende perfetta? Allo scultore ovidiano si è ispirato G. B. Shaw per creare il professor Higgins che trasforma la povera fioraia in una lady, con il volto, i modi e la delicata bellezza Audrey Hepburn. Ovidio ha saputo indagare nelle pieghe dell’animo umano: amore, passione, gelosia, risentimento, vendetta, emozioni e sentimenti che non passeranno mai di moda».

Quanto hanno contato per la fortuna di Ovidio le trascrizioni dei manoscritti e dei primi libri a stampa? «Quello dei codici è uno dei temi portanti della mostra: abbiamo esposto una trentina fra manoscritti e libri a stampa fra i più rari e preziosi, e il merito va a Federica Toniolo, docente di Storia della Miniatura a Padova. Abbiamo coinvolto specializzandi e dottorandi che hanno raccolto e analizzato le molteplici edizioni, latine e volgarizzate, delle Metamorfosi. Nella prima sala vi è il più antico codice illustrato, datato fra la fine del XI e il XII secolo, aperto nella pagina in cui si narra del mito di Io, mutata in giovenca custodita da Argo dai cento occhi che il miniatore rende come un uomo con il corpo ricoperto di occhi spalancati. Ogni mito è narrato attraverso statue, rilievi, affreschi, gemme, quadri ma il filo d’Arianna che li unisce è dato proprio dai libri illustrati. I codici miniati sono straordinari per se stessi e preziosi per far capire al visitatore attraverso quali canali il poeta sia giunto fino a noi, superando le ingiurie del tempo e l’ostracismo di Augusto».

Non sono poche, 250 opere di epoche e generi diversi. Quanto è durata la preparazione e quali le istituzioni più coinvolte?

«Abbiamo cominciato a lavorare all’idea di un’esposizione su Ovidio nel 2012 con la piccola mostra sulle Metamorfosi che si è tenuta all’Orto Botanico di Padova, organizzata dall’Università con l’aiuto di Isabella Colpo e Giulia Salvo che sono state al mio fianco nell’avventura ovidiana fin dall’inizio. Fondamentale è stato l’apporto del Mibac che ha anche collaborato per la parte moderna delle opere. Non era facile trovare un’istituzione che accettasse la sfida di una mostra così singolare, dedicata a un poeta latino. Le Scuderie ci hanno creduto e abbiamo lavorato con il loro staff per la costruzione del percorso, per i testi in mostra, l’audioguida, il catalogo, edito da Arte’m.e, e per l’allestimento. L’architetto Francesca Ercole è entrata in totale sintonia con noi e ha fatto la scelta vincente di giocare su colori neutri che non prevaricassero sulle opere. Molto dobbiamo ai Musei di Napoli e di Aquileia, che hanno accettato di prestarci alcune delle loro opere più prestigiose: si pensi alla Callipigia che con la sua grazia maliziosa e provocante accoglie il visitatore nella seconda sala, o al solenne “Augusto capite velato” che si presenta in tutta la sua maestà, rendendo percepibile il suo grande potere».

Un ruolo importante è riservato proprio all’allestimento che riserva continui colpi di scena, quali la Venere pudica di Botticelli affrontata all’antenata in marmo del II secolo, o il fuggi fuggi nei grandi marmi dei figli di Niobe. Quale è stato il segreto per renderla, pur nella varietà, così unitaria? «Nella mostra c’è la passione di noi tutti che siamo rimasti affascinati dalla capacità del poeta di creare immagini con le parole; abbiamo giocato su questo intreccio magico tra la parola che crea l’immagine e l’immagine che ispira la parola. La Niobe del grande quadro del Camassei, che stringe a sé la figlia più piccola, è proprio quella di Ovidio che cerca di fare scudo alla figlia pronunciando le parole: “Lasciami l’ultima, è la più piccola”, ma le frecce di Apollo e Diana erano già scoccate. E come ignorare lo stretto legame che unisce il Narciso che si specchia e si riconosce -ma sono io questo tu! - e quello caravaggesco? Come non partecipare al dramma di Icaro e Fetonte, incoscienti giovani che, incuranti delle raccomandazioni dei padri, pagarono la loro audacia con la vita? Sull’epitaffio di Fetonte Ovidio scrive: “qui giace Fetonte, auriga nel carro del padre, a reggerlo non è riuscito, ma è caduto in un grande progetto”. Impossibile restare indifferenti». —



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