Pagine di storia nella Scuola che forma gli artisti del fare

Il Selvatico di Padova celebra i suoi 150 anni tra problemi strutturali e mostre Una sezione orafa celebre nel mondo, le medaglie alle Esposizioni universali
La Scuola delle arti “Pietro Selvatico” a Padova è salita alla ribalta dei media negli ultimi mesi per la battaglia che professori e studenti stanno portando avanti affinché si provveda ai necessari lavori di risanamento della storica sede jappelliana. L’ingente stanziamento della Fondazione della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo pare abbia avviato al meglio la soluzione del problema, tale da por fine alla diaspora temporanea verso altre sedi e immaginare quanto prima il ritorno del Selvatico nella dimora monumentale dove risiede da oltre un secolo. Il neoclassico macello (come tale nacque infatti ma esercitò assai poco) progettato da Giuseppe Jappelli lungo la sponda del Piovego si è rivelato luogo ideale per la struttura di una scuola che basa il proprio insegnamento sulla combinazione tra teoria e pratica, tra conoscenze e applicazioni, tra aule e laboratori, per non dire del perno della mirabile rotonda degna delle più blasonate Accademie di Belle Arti. Dalla continua verifica tra le due dimensioni di apprendimento nasce un sapere che si riversa nel progetto di una forma, sintesi di consapevolezza intellettuale e perizia tecnica.


Per avere conferma di quanto abbia sempre contato la cultura artistica all’istituto d’arte, oggi liceo, Selvatico, basta dare un’occhiata ai volumi e alle riviste della sua biblioteca storica dove compaiono le maggiori testate di Arti decorative ma anche una rivista d’arte come Emporium, giusto per capire l’inscindibilità delle due dimensioni e l’aggiornamento in tempo reale sulle tendenze in corso.


Quando nacque per volontà del marchese Pietro Selvatico Estense nel 1867, con il dichiarato intento di promuovere le arti decorative poiché sin troppo evidente appariva il ritardo della produzione italiana alle Esposizioni Universali, era l’artigianato artistico il motore del rinnovamento delle arti in tutta Europa e dunque del progetto educativo del marchese. Ed è questo concetto che è bene avere in mente quando si visita la mostra realizzata in occasione dei 150 anni della Scuola, a cura di Luisa Attardi, Mario Iral e Antonia Zecchinato, allestita a Palazzo Zuckermann, fino al 28 gennaio, con un’appendice al Museo agli Eremitani e una al Pedrocchi.


Tra la fine dell’Ottocento e il primo dopoguerra l’estetica dell’architettura e dell’arredamento era diventata così importante da incidere nel corso della storia dell’arte potendo contare su illustri teorici e su artisti di prima grandezza che, soprattutto dall’Inghilterra e dall’Europa centrale, dettavano le nuove linee della bellezza diffusa. Ammirare i modelli in gesso di decorazioni floreali, o lignei di portali neogotici o tavoli con impettite sfingi a mo’ di piedi, significa comprendere come le maestranze specializzate che uscivano dal Selvatico potevano influire sull’estetica della città in una fase di grande espansione e di riqualificazione modernista che univa eclettismo e art nouveau. La cattedra di ferro battuto, profuso nelle architetture d’allora, venne istituita nel 1910 e assegnata all’insigne e innovatore maestro veneziano Umberto Bellotto. Era l’anno dell’insediamento della Scuola nel “tempio jappelliano” e della più importante Esposizione locale delle arti e dell’industria che si tenne a Pontevigodarzere con oltre 500 espositori italiani e stranieri: il progresso aveva bisogno delle arti non meno che delle industrie. Il Selvatico vinse premi nelle maggiori esposizioni universali del settore. Nella più importante in assoluto, quella di Parigi, si aggiudicò due medaglie d’oro: nel 1879 e nell’annus mirabilis 1900. E ancora a Torino nel 1884, a Palermo nel 1892, a Saint Louis nel 1904, a Monza nel 1923, prima edizione della Mostra di Arti Decorative destinata a diventare la Triennale di Milano, solo per citarne alcune. Vi studiarono e vi insegnarono artisti importanti, scultori e pittori, padovani e veneziani. Lo scultore Natale Sanavio, cui si devono insigni ritratti disseminati in molti luoghi della città e ai Musei Civici, ospitò nel suo studio il primo nucleo della Scuola. Una figura molto importante fu l’ingegnere e architetto Barnaba Lava autore di un organico piano didattico che incluse 98 “Rilievi delle Antiche Fabbriche Padovane”, repertorio rigoroso che costituisce a tutt’oggi testimonianza preziosa sui principali edifici storici della città.


Camillo Boito racconta di aver visto gli allievi del Selvatico sui ponteggi della cupola antistante la Sala Carmeli, tuttora ben visibile. Per tutti i decenni che durò la decorazione di Achille Casanova al Santo generazioni di diplomati salirono sui ponteggi della Basilica. Gio Ponti riserva al Selvatico un occhio di riguardo e nel luglio del 1928 pubblica su “Domus” un articolo lusinghiero. Nel corso del secolo la Scuola si è rinnovata aggiornando insegnamenti e sezioni.


La più celebre e conosciuta in tutto il mondo è la “scuola orafa” che ebbe in Mario Pinton l’artista e il maestro che ne orientò lo sviluppo. La scultura vide alternarsi grandi nomi ma tra tutti fu Amleto Sartori, il padre della moderna maschera della commedia dell’arte, ad aver lasciato un segno inconfondibile nell’insegnamento dell’arte plastica al Selvatico. E poi Architettura e ambiente, Design della moda e del costume, Disegno industriale e Scenografia. Dal modello d’intaglio di fine Ottocento al modellino di casa realizzato oggi con stampante in 3D, la Scuola continua a preparare e motivare centinaia di studenti, unendo cultura riflessiva ed esperienza pratica, un composto che può essere un magnifico antidoto in un presente come il nostro che rischia la vertigine dell’immaterialità digitale da un lato e l’opacità dell’ignoranza dall’altro.


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