Quando i troiani costruirono il Veneto Storia di una regione fondata sul lavoro

Dal nostro inviato nel passato: questo potrebbe essere il sottotitolo de “La storia del Veneto” (Ed. Biblioteca dell’Immagine, 12 euro), il nuovo libro in cui Francesco Jori racconta in 440 densissime pagine la nostra regione “dalle origini ai giorni nostri”. L’approccio è quello del cronista di razza che si aggira fra i secoli scorsi (spingendosi a indagare il prossimo futuro) armato di curiosità, empatia verso l’oggetto della sua inchiesta, ottime capacità narrative ma soprattutto di una dotazione di mappe e bussole, lenti e cannocchiali – cioè conoscenze storiche, geografiche, culturali, socio-politiche – che non ha eguali dalle nostre parti.
L’impresa
L’impresa di affrontare tremila anni di storia di una regione variegata e complessa come il Veneto, per di più caratterizzata dalla straordinaria vicenda della Serenissima e complicata dalle turbolenze recenti, e il tutto senza annoiare il lettore, era improba anche per lui, stante la rapidità con cui è stata portata a termine. Jori ha vinto la sfida realizzando non un trattato, ma un’inchiesta storica, in cui ha evidenziato – dal corpus sterminato di nozioni, nomi e date – le dinamiche dei processi, sottolineandone le costanti e le rotture, con le loro ricadute sul presente; il tutto con un montaggio veloce che spesso transige la cronologia per privilegiare gli sviluppi dei fenomeni, e corredando la narrazione di sapidi aneddoti che illuminano gli eventi con un sorriso, a volte amaro (citiamo per tutti la vicenda della quarta crociata, condotta dai veneziani non per liberare Gerusalemme dagli infedeli, ma per conquistare e razziare Costantinopoli).
Le costanti
Le costanti, dunque: che si parli dell’agricoltore-commerciante di Frattesina, villaggio protostorico sulle sponde del Po di Adria (XIII-X secolo a. C), del viaggiatore-mercante veneziano che nel XIII secolo, emulo di Marco Polo, si spingeva ad Oriente, o dell’imprenditore magari ex emigrante che a fine ’800 impiantava la sua azienda nella Pedemontana, a caratterizzare la nostra storia, secondo Jori, è un mix di etica del lavoro, vocazione allo scambio e apertura al nuovo e all’esterno. Un mix di forza gentile e di pragmatica (a volte cinica) duttilità che ha sempre assicurato alla regione una pronta ripresa dopo le rovinose cadute che hanno caratterizzato la sua storia: si pensi al periodo post-romano, quando le orde barbariche ne fecero un corridoio di attraversamento verso la capitale; oppure al “secolo di ferro”, il ’600, che annunciò, fra i bagliori di tante battaglie, lo sfavillante declino di Venezia; o al severo ’800, segnato dalla fine della sovranità, dal dominio austriaco, dall’arrivo (peraltro benvenuto) degli italiani e dalla partenza dei veneti emigranti.
la rivalità
Costanti sono il braccio di ferro tra Venezia e le litigiose province della terraferma, in particolare Padova, che pagò duramente (al tempo dei Carraresi) la sua resistenza all’egemonia della Dominante, e guidò – dopo il 1797 – la fronda anti-veneziana e filo lombarda dei capoluoghi veneti. Col risultato – evidente ancor oggi – di una persistente difficoltà della regione a fare squadra e di “capitalizzare” politicamente le sue enormi ricchezze economiche, paesaggistiche e culturali. Le rotture sono tante, quelle più consistenti riguardano l’inizio e la fine di questa storia: Jori sposa la tesi (peraltro con l’autorevole avallo di Tito Livio, Virgilio, Plinio il Vecchio, Strabone e Catone) dell’origine “troiana” dei nostri antenati, un’infiltrazione o una vera e propria invasione di profughi orientali ai danni degli autoctoni Euganei, costretti a mescolarsi coi nuovi arrivati o a ritirarsi verso le vallate alpine; e quanto ai tempi recenti, gli ultimi vent’anni hanno modificato il paesaggio, la composizione demografica (con l’invecchiamento e l’immigrazione) e i valori di riferimento, trasformando la “transizione dolce” e il tradizionale no vago a combàtar, in disorientamento, frammentazione e conflitto, con pesanti ricadute soprattutto sulle giovani generazioni. Ecco perché – dice Jori – va rapidamente messa in campo una seria riflessione su quale futuro vogliamo. —
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