Quando sotto il tendone c’erano i leoni e gli elefanti Ricordi di un circo passato

Era festa grande tra Otto e Novecento quando un circo arrivava in una città, i giornali non parlavano d’altro per settimane. Memorabile fu nel Natale del 1907 la presenza di un circo in Prato della Valle a Padova, la cui attrazione maggiore era un ippopotamo . La novità del nuovo millennio sono invece i circhi senza animali. Il viennese Roncalli mette in pista ologrammi di tigri e leoni, mentre il “circo vegano” propone intrattenimento circense senza animali. Ma la storia del circo è stata scritta dagli acrobati, dai pagliacci e dagli animali. In questa storia c’è un posto anche per un’officina di San Donà di Piave. Il nome “Calcide” è marcato nella gradinata del circo di Montecarlo che può accogliere fino a 3800 spettatori e ospita il più importante appuntamento annuale per i circhi di tutto il mondo.
Il patriarca
Calcide era una piccola impresa nata nel dopoguerra con il capostipite Sante “Toni” come servizio di raccolta dei rifiuti. Il figlio Piero si formò come perito meccanico e, una volta entrato in officina nel 1951, incominciò ad attrezzarla per la manutenzione dei propri mezzi. Negli anni Cinquanta l’attività si estese ai ribaltabili per le attività agricole, a quel tempo assai fiorenti nella zona.
C’è un cammello
Piero è oggi un signore di ottantasei anni, un patriarca con figli e nipoti che non ha perso il gusto di osservare e sperimentare. Come avvenne l’incontro con il mondo del circo lo racconta così: «Nel 1961 si fermò a San Donà il circo Palmiri che aveva necessità di un carro attrezzato per trasportare un cammello. Non sapevo da che parte incominciare. Feci calcoli e disegni e ne parlai con gli operai che si dimostrarono subito collaborativi, e il cammello ebbe il suo carro. Palmiri ne parlò al cognato Cesare Togni che ci chiese un carro per i leoni, ben più complesso con paratie di separazione, cunicoli di uscita e tutto di massima sicurezza. Arrivarono poi richieste per gli orsi e per gli elefanti. Studiavo le soluzioni in relazione agli animali, sempre di sera quando gli operai andavano via. Gli orsi sono curiosi e ostinati, riescono a svitare una vite anche di piccole dimensioni e dunque i loro carri dovevano avere le giunture a incastro; per gli elefanti il problema era il peso e la stabilità e dunque l’adattamento degli assali».
Studiava attentamente anche i padroni del circo: «Ognuno aveva una propria idea di circo: un danese lo intendeva in modo diverso da un bulgaro o da un messicano. Nel corso degli anni, con mio padre e mio fratello Giovanni, convertimmo l’attività».
Tra gli incontri più significativi ricorda il Circo Americano: «Era della famiglia Togni, con gli spagnoli Fejoo-Castilla stava ottenendo molto successo e aveva trasformato il circo tradizionale in un grande spettacolo. Li incontrai a Genova e ci chiesero diversi carri. Ricordo bene: erano i primi di febbraio 1965, io non vedevo l’ora di tornare a casa perché stava per nascere la mia prima figlia. Un po’ alla volta, oltre ai carri, abbiamo incominciato a realizzare le strutture in ferro: le recinzioni e i cancelli, il maneggio della pista, i palchi e i tralicci per il tendone. Il passo successivo furono le gradinate: le progettai con un longherone portante e piantane triangolari per comporre i cerchi. Ma la grande novità del circo Americano erano le tre piste».
Walter e Moira
Come trovare lo spazio? «Escogitai un sistema autoportante sostenuto da piccoli tralicci e suddiviso in segmenti degradanti. Ciò consentiva di asportare sezioni di scalinata e creare così gli spazi necessari, anche per la pista sul ghiaccio».
Finì per conoscere Nones e Moira Orfei: «Un giorno del 1965 si fermò davanti all’officina una Mercedes con l’autista e scese Walter Nones che aveva sposato Moira e da poco fondato un suo circo. Ci chiese i carri per gli animali ma anche quello per la sartoria e per i dormitori dei lavorant. Nones era attentissimo all’aspetto estetico, curava molto i dettagli e il comfort del pubblico. L’officina era dietro la nostra casa e succedeva che i clienti diventassero amici. Mio padre era sempre pronto a intrattenere con racconti e chiacchiere, amava la convivialità».
Fu proprio suo padre a indicare a Nones lo spazio di Villa Ancillotto: «Il circo Americano aveva una grande struttura di base vicino a Verona. Mio padre segnalò a Walter quel complesso di villa, annessi e parco nei dintorni di San Donà. Era andato all’asta, lo acquistarono e divenne la loro casa senza ruote».
a MONTECARLO
La fama ormai travalicava i confini: Calcide arrivò a realizzare il circo di Montecarlo. «Alla metà degli anni Settanta, quando il successo della manifestazione convinse i monegaschi a costruire un circo stabile. Per il festival internazionale arrivavano a Montecarlo direttori e numeri da ogni parte del mondo e quello fu per noi il biglietto da visita più prestigioso, ricevemmo richieste da tutta Europa, dai paesi dell’Est e dal Sudamerica. In Francia andavo a Parigi e a Bordeaux quattro volte l’anno a ricevere gli ordini e a sorvegliare le consegne in prossimità del Natale. Fu a Montecarlo che incontrammo anche il Cirque du Soleil che ci chiese la struttura portante del grande tendone» Arrivarono oltreoceano: «All’inizio degli anni Ottanta si rivolsero a noi i fratelli messicani Fuentes-Gasca che avevano la catena di circhi più famosi dell’America Latina. Andai anche in Brasile a San Paolo e a Almeida, dove incontrai delle famiglie di emigranti che erano partiti da San Donà nel dopoguerra. In Europa buoni committenti erano i circhi dei paesi nordici. Negli anni Novanta abbiamo lavorato anche per i circhi cinesi e giapponesi. Gli ultimi containers lunghi 40 piedi sono partiti per Phoenix nel 1996. Per il montaggio mandavo istruzioni ma non li assistevo più personalmente come avevo fatto per molti anni viaggiando i di notte per arrivare in officina puntuale alle sette, insieme agli operai». —
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