Rischio e innovazione La modernità di Tintoretto vive da mezzo secolo

venezia
Cinquecento anni, e non sentirseli addosso. È la straordinaria modernità, la forza ancora rivoluzionaria della sua pittura che tanti artisti contemporanei ancora oggi influenza, quella che si percepisce nella mostra-evento che da oggi al prossimo 6 gennaio Venezia dedica a un suo genio pittorico come Jacopo Tintoretto, nei cinquecento anni dalla nascita, a Palazzo Ducale (in collaborazione con la National Gallery di Washington, dove l’esposizione approderà nella prossima primavera). A questa fa da ideale completamento - le due esposizioni vanno viste in sequenza - quella dedicata al Tintoretto giovanile alle Gallerie dell’Accademia (di cui riferiamo a parte).
L’anno zero
Si tratta della più grande celebrazione dedicata a un artista italiano - come hanno ricordato ieri presentando l’esposizione la direttrice della Fondazione Musei Civici Gabriella Belli e quella delle Gallerie dell’Accademia Paola Marini - che arriva a circa ottant’anni di distanza dall’altra grande mostra che la città dedicò a Tintoretto, sempre a Palazzo Ducale. Ma qui siamo «all’anno zero», come è stato detto ieri, al punto di svolta sulla riconsiderazione dell’opera di Tintoretto, con una mostra superba per scelta e qualità delle opere, attraverso 50 dipinti e 20 disegni autografi che affidano definitivamente questo artista all’immortalità.
«E perché bollivano del continuo i pensieri nel fecondo ingegno suo, pensava ad ogn’hora il modo di farsi conoscere il più arrischiato Pittore del Mondo», è la citazione di uno storico seicentesco come Carlo Ridolfi a proposito di Tintoretto, che si legge nella prima sala della mostra, che si apre con la Principessa a cavalcioni del drago nel telero con San Giorgio e San Luigi (dalle Gallerie dell’Accademia) e con l’autoritratto giovanile dell’artista che ci scruta con i suoi occhi febbrili di conoscenza. E un altro auroritratto, quello di un Tintoretto ormai canuto e settantenne, ma ancora non sazio di pittura rivoluzionaria, chiude questa mostra memorabile. Curata, come quella di dieci anni fa dedicata all’artista al Prado di Madrid, da due storici dell’arte statunitensi come Robert Echols e Frederich Ilchman, che hanno voluto riproporla ripensata nel naturale contesto veneziano e che hanno contribuito anche a “disboscare” la selva attributiva sulle opere tintorettiane distinte da quelle di bottega.
i temi
La propensione al rischio, di ridolfiana memoria, ma anche le tecniche innovative nella pittura, quelle pennellate veloci che a parte dei suoi contemporanei sembravano un segno di indefinitezza, ma sono invece quello della sua modernità. Ma anche l’attenzione alla figura umana, centrale rispetto al paesaggio davvero misura di tutte le cose. E la dimensione di grandissimo ritrattista e di interprete sublime dei temi del sacro. Sono questi innanzitutto i temi al centro della sezioni della mostra allestita con la consueta maestria dall’architetto Daniela Ferretti negli appartamenti del Doge di Palazzo Ducale.
Un’esposizione che è anche, necessariamente, una parata di capolavori, partendo, ad esempio da quella “Creazione degli animali” dal dinamismo straordinario, con pesci che nuotano e uccelli che volano come in una competizione primordiale. Quindi, appunto, lo studio sui corpi umani, anche attraverso una serie di importanti disegni per capire la ricerca della tridimensionalità anche sulla carta.
Le opere
Con “Susanna e i Vecchioni”, dipinto straordinario in arrivo da Vienna, siamo di fronte al più bel nudo femminile dipinto da Tintoretto (questo quadro da solo giustifica la visita della mostra) che dialoga con altri due capolavori assoluti come la «Giuditta e Oloferne” “Giuseppe e la moglie di Putifarre” dal Prado, che Velasquez fece acquistare dal re di Francia Filippo IV, Ma di enorme interesse sono anche le sale dedicate a Tintoretto che attraverso dipinti, disegni e modellini ci svelano le sue tecniche compositive, i segreti, a cominciare dai disegni preparatori. E poi una nuova sfilata di opere stupefacenti, a cominciare dall’“Origine della Via Lattea”, che segna il definitivo superamento di Tiziano dopo la sua scomparsa. Quindi l’ampia sezione dedicata alla ritrattistica, di eccelsa qualità. E quella - prima della chiusura sulla pittura sacra - dedicata alla “sospensione” pittorica. Come in “Tarquinio e Lucrezia”, in cui le perle della collana strappata dall’uomo alla matrona romana, fluttuano scintillanti verso terra, come piccoli pianeti sospesi. —
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