«Rossini e Mozart volevano solo divertirsi»

JESOLO. «Per esempio, quasi nessuno sa perché Condoleeza Rice si chiama così. Il padre, appassionato di opera, voleva chiamarla “Con dolcezza”, un’espressione che viene dalla nostra musica classica e che forse non sapeva neppure neanche cosa voleva dire. Ma l’impiegato dell’anagrafe ha cannato la trascrizione e la “c” è diventata una “e”. Per dire che abbiamo un patrimonio di parole e di espressioni che appartiene alla nostra storia, alla nostra cultura, ma non lo conosciamo neppure». Stefano Belisari, in arte Elio, arriva da quel mondo lì: studi classici, diploma al conservatorio Verdi di Milano in flauto traverso. Ma lui per primo ammette di essere stato a lungo convinto che l’opera fosse una cosa noiosa, per un’élite di cultori. A 19 anni Elio è già la voce delle Storie Tese, la sua musica prende altre direzioni. Ma oggi che il simpatico complessino si scioglie, lui ha una solida carriera parallela proprio nell’opera. «Nel ’98 è stato il compositore Azio Corghi a chiedermi di cantare per una sua produzione a Pesaro, si chiamava “Isabella”» ricorda «ho accettato per curiosità, per fare una cosa diversa, perché sono sempre attratto dalle novità. E mi sono reso conto di avere un’idea sbagliata. Altro che roba da vecchi, è pensata per i giovani ed è sempre stata praticata da giovani». Ed è questo il primo messaggio di “Madamina il catalogo è questo (L’opera buffa da Mozart a Offenbach)”, spettacolo brillante prodotto dal circuito Arteven che Elio porta in scena - da narratore e cantante - al teatro Vivaldi di Jesolo il 7 aprile (alle 21) insieme al soprano Scilla Cristiano e con un trio di grandi musicisti Gabriele Bellu (violino), Luigi Puxeddu (violoncello) e Andrea Dindo (pianoforte). Una carrellata nel repertorio più conosciuto dell’opera buffa, dal “Flauto Magico” e dal “Don Giovanni” di Mozart al “Barbiere di Siviglia” di Rossini fino ai “Racconti di Hoffmann” di Offenbach. «Lì dentro ci sono brani che tutti cantiamo, senza neppure sapere che sono opera», insiste Elio, che nella prima parte dello spettacolo rileggerà il libro di Lamarque, intrecciandolo a parti del libretto d’opera; e nella seconda si alternerà con Scilla Cristiano in un recital lirico in cui saranno eseguite alcune delle arie più note del repertorio per soprano e baritono, il dongiovannesco “Madamina il catalogo è questo”, il “Batti batti bel Masetto” della contadinella Zerlina, le Cavatine di Figaro e Rosina del Barbiere e le “Chanson du bebè” di Rossini.
Ci hanno fatto credere che l’opera è noiosa. Ma questo spettacolo spazza via questa convinzione.
«Io per primo la pensavo così. Poi dopo quella volta con Corghi ho cominciato a fare ricerca, a studiare i compositori classici e ho capito tante cose. A cominciare dal fatto che gli stessi compositori erano giovani e volevano divertirsi. Rossini, quando ha scritto il Barbiere, aveva 24 anni. Fedez oggi ne ha 27, tanto per capirci. A parte il miracolo di un 24enne che fa quelle cose - e anche Mozart era giovane, è morto a 33 anni dunque ha fatto tutto prima - l’opera è di per sé una cosa giovane, a parte qualche eccezione, penso al Falstaff di Verdi».
Le opere sarebbero anche adatte ai bambini?
«Certo, alcune lo sono. Però bisogna ragionare sulla forma con cui vengono presentate. Se la classica me la metti in scena in teatri in cui non si può fiatare, bisogna arrivare vestiti di tutto punto e sembra di andare al galà dell’incoronazione del re, allora il clima sembra fatto apposta - come credo che sia - per scoraggiare i bambini o chi vuole andarci».
Ma non è sempre stato così.
«Originariamente il clima era simile a quello dei concerti attuali. La prima del Barbiere fu un fiasco e gli lanciarono di tutto, c’era un clima da stadio. Nei teatri si facevano un sacco di cose. Nei palchetti c’era chi faceva l’amore, chi mangiava, chi parlava. Bisogna tornare a questa situazione. Ma ora mi si potrebbe chiedere, perché?».
Ecco, perché?
«Perché sì, perché vale la pena. Perché è una cosa bellissima e italiana. E questo sembra che non sia molto chiaro. L’opera viene messa in scena nel modo migliore dagli italiani. Potrebbe essere un’opportunità di lavoro. Invece viene misteriosamente declassata, si pensa che sia solo per appassionati. Ma milioni di stranieri vengono in Italia anche per l’opera. Perché nel mondo siamo il paese dell’opera lirica. Ho detto di Condoleeza. Ma fiasco, bravo, finale, parole che si dicono in tutto il mondo vengono dall’opera. Siamo così coglioni che schifiamo cose che pure ci darebbero lavoro all’infinito. Poi arrivano cinesi e coreani e ci portano via tutto. E siamo all’assurdità di cantanti lirici che cantano cose incomprensibili. Così anche nelle orchestre: un sacco di violinisti non sono italiani. Ma lavorano bene. Gli ucraini e i bulgari si impegnano più di noi e ci prendono il posto».
Buona musica buttata via...
«E non possiamo permettercelo. È un periodo che non si sente nulla di bello in giro, non c’è niente che ti fa fare un salto sulla sedia. Una volta andavo in giro in macchina, sentivo la radio, tutta roba orribile. Poi ho trovato un pezzo bellissimo ed erano i Led Zeppelin».
Il contatto fra l’opera e gli Elio e le Storie Tese, se c'è, può essere individuato proprio in questa ricerca del divertimento nella musica?
«Certo. Alla fine gli obiettivi di un compositore di un’opera che noi chiamiamo classica - che poi è classica perché è rimasta nei secoli e lo è diventata - è fare cose che piacciono alla gente. È lo stesso obiettivo che si pone uno che fa musica oggi. Solo che il Barbiere lo cantiamo da secoli e lo canteremo ancora per secoli. Le canzoni che sentiamo oggi fra quattro giorni le dimenticheremo perché non hanno niente di bello».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova