«Sono fuori catalogo, faccio ciò in cui credo metto al centro la parola per raccontarmi»

intervista
Farà tappa a Giugno Antoniano la tournée estiva di Simone Cristicchi: l’appuntamento è per venerdì 28 giugno sul sagrato della Basilica di Sant’Antonio a Padova.
Cristicchi, lei torna con un nuovo tour a distanza di sei anni. Perché proprio ora?
«Grazie a Sanremo e ad “Abbi cura di me”, che mi ha fatto tornare la voglia di riportare in giro le mie canzoni, con una nuova consapevolezza. In questi anni comunque non mi sono mai fermato: ho fatto tanto teatro e dei concerti singoli, anche se mai inseriti in tournée».
Quanto è diverso il Simone Cristicchi di oggi da quello di sei anni fa?
«Sono maturato nell’interpretazione e questo forse mi ha consentito di vincere il premio Endrigo a Sanremo. Perché ero “dentro” la canzone, emotivamente messo a nudo. Ha generato emozioni».
Una canzone come “Abbi cura di me” l’avrebbe scritta sei anni fa?
«Probabilmente no. Ora sento di essere una persona migliore rispetto a sei anni fa. Ma l’attitudine è la stessa: non prendermi mai troppo sul serio, non badare ai numeri. Mi considero “fuori catalogo”. Quello che ho fatto in questi anni è stato frutto di grande fatica, ma sono riuscito a realizzare un sogno: trasformare la mia passione in un lavoro che dà da mangiare a me, alla mia famiglia e alle famiglie delle persone che lavorano con me».
In questi anni ha scritto canzoni?
«Per gli spettacoli».
E un disco di inediti?
«Spero che arriverà. Ma mi sono sempre sentito libero nel pubblicare, anche con tempi molto lunghi: devo essere particolarmente ispirato, non sono un fabbricante di canzoni. Devo avere una folgorazione».
È lo stesso per gli spettacoli teatrali?
«Quello è un lavoro più artigianale, per il quale mi metto nella condizione di scrivere».
Lei è considerato un artista impegnato. È una condizione ineliminabile per l’artista, in tempi senza memoria come questi?
«Io non mi sento né capo scuola né maître à penser. Mi limito a fare quello in cui credo. Ad esempio, ho sempre subìto un fascino dalla malattia mentale, perché è un qualcosa che ha a che fare con la mia infanzia, da piccolo mi sentivo un emarginato. Non sono mai stato capace di fingere con il pubblico, sono sempre stato trasparente e forse è per questo che mi definisco un artista: perché non c’è nulla di costruito».
In un mondo spesso fittizio.
«Il mondo della musica è pieno di fenomeni costruiti a tavolino, che durano una stagione: dalla cresta dell’onda finiscono nel dimenticatoio. Ma la cosa che mi sconcerta è che la gente rimane affascinata da queste persone, pedine di una catena di montaggio. Come nei talent: per un ragazzo che ha successo ce ne sono cento che vanno dallo psicologo».
La felicità è un diritto o è un qualcosa da conquistare?
«È un diritto da conquistare. Noi siamo fortunati, viviamo nella parte fortunata del mondo e possiamo permetterci di fare della filosofia su queste cose. Mi stupisce che il mondo “civilizzato” sia pieno di persone infelici, quasi costrette a costruirsi una finta felicità. Abbiamo costruito un mondo funzionale, dimenticando i valori. Per fortuna la mia felicità può essere contagiosa».
Parliamo del tour: che concerti saranno?
«Non ho un repertorio particolarmente vasto, ma mi piace l’idea di aver trovato delle canzoni che nonostante gli anni trascorsi continuano a somigliarmi, parlano dell’uomo che sono diventato. Al centro di tutto ci sono la parola e la voglia di raccontarmi. Sarà un breve viaggio di un’ora e mezza all’interno del mio mondo musicale, ma anche teatrale, con poesie e monologhi. E poi ci saranno parecchi brani resi celebri come motivetti nelle radio, riarrangiati per renderli simili a chi sono ora, a 42 anni». —
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