Storia del signor Sax e del suo strumento che incanta i jazzisti e piaceva a Rossini

PADOVA
Non chiamatelo sax, sarebbe come rivolgersi a un defunto. Indicatelo semmai con il nome per esteso: saxofono, il solo strumento musicale che porti il nome del suo inventore, Adolphe Sax, belga francofono, classe 1814. Figlio d’arte nel senso più pieno del termine, visto che il papà Charles Joseph si dilettava a costruire flauti, clarinetti, fagotti; e che egli stesso, ad appena 20 anni, brevettò un nuovo modello di clarinetto basso, per poi proseguire fino a inventarsi per l’appunto il saxofono. Divenuto un must del jazz, come meglio di ogni altro spiegò un secolo dopo l’immortale Charlie Parker, suggerendo di non suonarlo, ma di lasciare che «sia lui a suonare voi».
Ma visto anche come un potenziale destabilizzatore da un altro e deteriore Adolf, tale Hitler, che arrivò a bandirlo sotto l’imputazione di proporre una “entartele kust”, come dire una musica degenerata. Quello che pochi sanno è che il saxofono ha trovato largo terreno nella musica classica: lo stesso Adolphe fu il primo insegnante di saxofono al Conservatorio Superiore di Parigi; e quello di Bologna nel 1844 adottò lo strumento su consiglio di Gioacchino Rossini. Chi voglia passare da queste stimolanti premesse a una rivisitazione completa di una ricca e affascinante storia, deve oggi esprimere un sincero grazie a Luigi Podda, che vive a Mogliano e insegna al Conservatorio Pollini di Padova. Un personaggio nel vero senso della parola, passato attraverso multiformi esperienze, tra le quali un percorso da tenore oltre che da saxofonista, con diplomi ed esperienze di primissimo piano. E che un bel giorno, come non gli bastasse il carico di impegni, ha deciso di colmare una pesante lacuna e di scrivere la prima vera completa coinvolgente storia del saxofono. Ne è uscito il libro “Adolphe Sax – Il saxofono, storia e repertorio”, (ponderoso tomo di 428 pagine), edito dalla padovana Cleup, che vuol essere anche l’inizio di un ambizioso percorso del Pollini ideato dal suo direttore Leopoldo Armellini.
Un lavoro certosino, spiega Podda: «Nel 1989 era uscito un testo di Roberto Ottaviano, che però essendo jazzista si era occupato quasi solo dei risvolti jazzistici. Un giorno Armando Ghidoni, insegnante di sax a Trento e Parigi, mi dice: manca un libro organico, pensaci tu. Così nel 1991 ho avviato una ricerca tradottasi in un primo testo edito a Udine, e poi snodatasi attraverso un lungo lavoro di ricerca e recupero di materiale, fino ad approdare a questo volume, che mi ha richiesto due anni per la sola scrittura, con la preziosa professionalità di Carla Ravazzolo per l’editing».
Un’avventura scriverlo, un’avventura leggerlo: faticosa la prima, affascinante la seconda. E che prende le mosse dal personaggio Adolphe Sax, per ripercorrere poi l’ingresso e l’affermazione dello strumento in Europa, incluso il suo sbarco in Italia negli anni Venti del Novecento. Offrendo a chi voglia gustarselo un viaggio non solo nella musica, ma anche nella vita e nei costumi del Vecchio Continente. —
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