Tra il musical e le Filippine, un festival di sorprese e delusioni

Oggi l’assegnazione dei premi, il bilancio dei critici premia Larraìn e Konchalovsky. La terra di mezzo italiana
Di Alberto Fassina

La 73ma Mostra del cinema di Venezia si è aperta e chiusa con due film opposti nella forma, ma riusciti nel risultato. “La La Land” fino all’ultimo giorno è stato il più amato dalla critica, a fargli compagnia ieri è arrivato “The Woman Who Left” di Lav Diaz. Nel mezzo tanto cinema di qualità e alcune delusioni. Accanto al folgorante musical e al film super cinefilo, tra i promossi vanno segnalati “Paradise” di Andrei Konchalovsky, opera che si inserisce nella cinematografia legata al racconto della Shoah. Tre personaggi in una sorta di limbo raccontano al pubblico la propria storia. Rigoroso e impeccabile nella messa in scena regala - assieme a una delle sorprese del festival, l’ottimo “Cittadino Illustre” - uno dei finali più belli ed emozionanti. “Jackie” di Pablo Larrain è forse il film simbolo della rassegna. Non si sa ancora cosa succederà questa sera, certo è che “Jackie” sarebbe un Leone perfetto capace di consacrare un grande regista e soprattutto riuscirebbe a ristabilire un rapporto con il pubblico che negli ultimi anni non ha digerito i film premiati. Discorso simile per altri titoli visti al Lido. “Animali Notturni” di Tom Ford, “Arrival” di Denis Villeneuve e “Franz” di François Ozon sono tre lavori molto riusciti, accumunati da un intento esistenzialista fra thriller, fantascienza e melodramma. Piaceranno molto quando arriveranno nei cinema.

In una terra di mezzo, “Une vie” di Stèphane Brizé, che ha il sapore del già visto, pur offrendo un’intellettuale e raffinata rilettura di Guy de Maupassant. “El Cristo ciego”, “La regiòn salvaje” e “The Bad Batch” sono un po’ complicati da definire. Maestri o ex maestri, sono il Wim Wenders di “Les beaux jours d’Aranjuez” e Terrence Malick, “Voyage of time: Life’s journey”. In entrambi i casi sembra mancare la storia e la fiducia nel racconto, idem per “On the milky road” di Kusturica più riuscito, ma anche lui tra gli autori ingrigiti.

Non convince, ma merita un discorso a parte la terna italiana. “Spira Mirabilis” viene trattato come un oggetto misterioso. “Piuma” di Roan Johnson e “Questi giorni” di Giuseppe Piccioni pagano il prezzo di portare due visioni del mondo giovanile e spesso in una Mostra se non si parla di tragedie si viene snobbati. “Piuma” ha l’accortezza di mettere le mani avanti dichiarando la sua leggerezza fin dal titolo, “Questi giorni” è invece un film più complesso di quanto possa apparire.

Il critico e il cinefilo sperano sempre di trovare storie e autori capaci di lasciare il segno. Questa fame alla ricerca del momento epocale, come spesso accade da ragazzi, la maggior parte delle volte viene disattesa, salvo il passare del tempo nel quale ci si sorprenderà a ripensare all’immagine di un film rendendosi conto che il cinema, come la vita, si muove su quella linea racchiusa tra l’aspettativa e il ricordo. E si rivedrà tutto con occhi meno severi.

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