Rifiuti in Marmolada: il ghiacciaio spoglio mostra le discariche non più nascoste
CIMA MARMOLADA. La Marmolada è, come si sa, la “regina delle Dolomiti”, il santuario degli alpinisti. Ma è anche un ghiacciaio di plastica e di altri rifiuti; nonostante le ripetute pulizie da parte degli ambientalisti e di altri volontari, i crepacci che si aprono con le alte temperature fanno scoprire le discariche di 40 o 50 anni fa, quando bottiglie e lattine, ma anche i cavi degli impianti non venivano portati a valle. Di più. C’è una situazione che fa gridare allo scandalo Enrico Geremia, guida alpina di Padova, che sulla Marmolada, oltre che su altre montagne, svolge la sua attività.
"Ho scoperto quest’estate – racconta - che tanti dei 100 grottini della cengia mediana sono un immondezzaio da schifo: bottiglie, teli termici, stuoini, cartacce di snack vari, bombolette, zaini logori, centinaia di spezzoni di corte, cordini e fettucce, bastoncini. Tutto materiale di cui si libera chi arrampica e in quegli anfratti ha bivaccato. Alpinisti, quindi, che dovrebbero avere una coscienza ben più solida dell’ultimo turista". Gli strapiombi della parete sud si sviluppano per più di mille metri. Accade spesso che lungo le vie più difficili – Geremia ne ha aperta recentemente una nuova – non basti una giornata di arrampicata e, quindi, ci si ferma a prender fiato negli anfratti che, guarda caso, si aprono a metà salita.
All’alba che cosa succede? Per l’ultimo attacco ci si libera di ogni ingombro.
"C’è chi lo fa gettandolo nel vuoto e, quindi, ai piedi troviamo vere e proprie discariche: di tutto, soprattutto di plastica. C’è chi ritiene di darsi qualche merito perché non scarica a valle, ma abbandona sul posto. Ogni volta che salgo – informa Geremia – raccolgo quello che posso e riempio lo zaino; se mi capita, anche quello del cliente. Ma ci vorrebbe una vera e propria campagna di bonifica. Ma fiondarsi lassù non è da tutti".
La Marmolada, in ogni caso, è apparentemente la montagna più pulita. Apparentemente, perché le bonifiche dai rifiuti avvengono quasi ogni anno. A fine agosto 2018 gli uomini dei Bacini Montani e le guide alpine incaricati dalla Provincia di Trento hanno raccolto ben 30 cestoni di immondizie. Nel 2017 erano stati i volontari delle associazioni ambientaliste a fare gli spazzini.
"Gli escursionisti che salgono fin quassù hanno una sensibilità tale per cui si portano tutto appresso – riconosce Guido Trevisan. Che ai 2635 metri del rifugio Pian dei Fiacconi conduce l’omonimo rifugio in faccia al ghiacciaio -. Per cui possiamo riscontrare che sono rari i casi di abbandono di bottiglie e lattine. Ma è il passato a fare ancora la differenza. 50 o anche 40 anni fa era fin troppo comodo, per le società impiantistiche o i rifugi nascondere i rifiuti sotto la neve, quindi nel ghiaccio, in particolare gettarli nei crepacci".
Ecco perché, specie lungo le pista, è possibile recuperare sci, bastoncini, occhiali, berretti, tute, tanti sacchetti di plastica, pezzi di fune e lattine d’olio, perfino monete, da 10, 20, 50, 100 lire. E poi legname, in questo caso probabilmente rilasciato anche dai camminamenti militari, dalle baracche.
Sul versante bellunese, per esempio, Attilio Bressan, già capo del Soccorso alpino della Val Pettorina, conferma che la famosa “città di ghiaccio” continua a rilasciare tavole ed altri frammenti legnosi delle strutture interne. "Va detto – ribadisce Luigi Casanova, di Mountain Wilderness – che grazie alle campagne di raccolta delle associazioni, fin dagli anni ’90, con lo stesso Reinhold Messner, la Mamolada si presenta un po’ meno plastificata di altri gruppi. Il peggio sta avvenendo là dove si ammassano i turisti. I gestori del rifugio Vandelli, al Sorapis, sono costretti ogni mattina ad andare a ripulire i dintorni del lago, trovando davvero di tutto. Ma ci sono itinerari dove nessuno va con la ramazza". Geremia è di ritorno dal Cervino dove ha riscontrato la medesima problematica.
"Quest’estate sono stato sulle Tre Cime di Lavaredo. Anche qui – testimonia Geremia- ho trovato plastica perfino in cima, lungo le salite (pezzi di corda appesi ai chiodi) e soprattutto ai piedi dei lastroni. Ma c’è una novità ancora più pericolosa: tracce di droni dappertutto, in ferro, acciaio e plastica. Le Tre Cime sono probabilmente le pareti più ‘dronate’, ma spesso capita che questi elicotterini vadano a sbattere e, ovviamente, vengono abbandonati". Anzi, la guida alpina suggerisce alle autorità di competenza che questi marchingegni siano proibiti per motivi di sicurezza. "Arrampicare con il ronzio del drone che ti spia non è il massimo".
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