Rispondi o non rispondi? Diario di un mese di telefonate moleste tra call center e truffe
Un mese di risposte (e di pazienza) tra marketing aggressivo, robocall e curiosità umana. Un viaggio tragicomico tra le insidie del telefono che non smette mai di suonare, nemmeno a Pasqua

Metti che sia quell’amico con il quale giocavi a pallone e che non senti da vent’anni, finito chissà dove per inseguire la carriera. O la tua ex compagna di università, per la quale avevi una cotta.
E se fosse, senza il bisogno di farsi prendere dalla nostalgia, una proposta di lavoro che non si può rifiutare? La tintoria che da due mesi ha tue le camicie pronte e ti crede disperso? Oppure, a seconda del lavoro che facciamo, un cliente, qualcuno che ha bisogno di informazioni, una fonte con una notizia? È per questo che i possessori di telefonino - e quindi noi tutti che lo malediciamo e poi lo teniamo vicino al comodino - si dividono in due grandi categorie.
Quelli che non rispondono mai ai numeri sconosciuti - salvo poi digitarli su Google o verificare la corrispondenza di un profilo WhatsApp con foto profilo rivelatrici - e quelli che invece sì, rispondono sempre. Coltivando la speranza telefonica di una sorpresa ben sapendo che sarà una scocciatura del marketing telefonico. E che l’avventura più entusiasmante sarà un viaggio di turismo dentale in Albania. Se pur con un risparmio del 70% rispetto a una protesi costruita in Italia.
Eccolo quindi l’inventario delle telefonate moleste, il diario di un mese di risposte, tentativi di dialogo, insulti trattenuti. Sette giorni su sette, domenica e festivi inclusi.
Alle 11.13 di venerdì 14 marzo, per dirne una, giorno d’inizio di questo diario di bordo, la traversata tra i call center pirata che issano bandiera italiana entrando nei nostri display ma si nascondono chissà dove, in qualche Paese dei Balcani o ancora più a Est.
Lo smartphone anticipa la città di provenienza: in questo caso la telefonata arriva da Adria, Rovigo, Veneto. La vicinanza geografica tranquillizza, viene da pensare a una chiamata di lavoro, sentiamo un po’ chi c’è dall’altra parte.
«Pronto?».
Una voce femminile gentile, registrata: «Vieni con noi a fare turismo dentale in Albania. Premi il tasto uno per un preventivo».
La voce è di una donna, in carne e ossa.
Ma nella maggior parte dei casi non c’è neppure più il gusto di sentire l’accento di chi chiama, indovinare da dove, prendendo tre secondi di pausa prima di mandare tutti a quel paese, sapendo che in fondo, anche chi chiama, sta lavorando, come già ci aveva insegnato Paolo Virzì con “Tutta la Vita davanti” - era il lontano 2008 - e le inchieste sui call center, le denunce dei sindacati.
Provare a imbastire un dialogo con le poche operatrici vere rimaste è complicato. Capiscono che c’è qualcosa che non torna nella curiosità di chi non riattacca ma ha voglia di chiacchierare al telefono.
«Sì, lavoro qui da sei mesi, ma perché me lo chiede?».
Call center
Volendo restare al cinema: se nel 1987 Paul Verhoeven nel sceneggiare una futura città distopica ci aveva messo in guardia dalla supremazia dei Robocoop, perché nessuno ci ha mai detto niente delle robocall, le telefonate automatizzate che trasmettono messaggi pre-registrati? L’evoluzione dei venditori porta a porta, che sceglievano una strada e si attaccavano a campanelli per piazzare l’enciclopedia.
Oggi i call center utilizzano sistemi automatizzati, capaci di comporre rapidamente migliaia di numeri di telefono. Autodialer - così li chiamano i tecnici - impostati per chiamare codici di area specifici o prefissi di numeri di telefono, permettendo ai chiamanti automatici di bersagliare regioni o demografie specifiche.
È con questo sistema che, oggi, capita di ricevere le proposte più strampalate. La presunta famiglia Berlusconi che invita a investire con loro, un tizio che si presenta per conto di Amazon e che ti suggerisce di scommettere su piattaforme tecnologiche, «investimenti facili» e «guadagni automatici grazie all’Intelligenza artificiale» neanche fossi il Gordon Gekko di Wall Street.
Ciarlatani digitali: pozioni per rifarsi la dentiera o esibire capelli più folti.
E se a fine marzo, per due giorni (29 e 30) non chiama nessuno, c’è quasi da preoccuparsi.
A inizio aprile arriva un messaggio su WhatsApp. Prefisso +95, arriva dalla Birmania: «Salve, possoparlarleunattimo?» scritto così, tutto attaccato. C’è la foto di un bambino. Che cerchi aiuto, dovrei rispondere?
Le peggiori sono quelle mute: tu rispondi, senti un brusio di sottofondo, e nessuno che parli. È che dai call center partono troppe chiamate contemporaneamente - spiegano i tecnici - e gli operatori non possono rispondere a tutti. Va a finire che ti senti in colpa e aspetti se si palesa qualcuno.
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