Elezioni europee, il cantiere del nostro futuro

L’editoriale del direttore dei quotidiani Nem Luca Ubaldeschi: «Sono elezioni storiche, probabilmente le più importanti per i temi che la prossima legislatura Ue dovrà affrontare, ma il dibattito italiano è stato in larga parte miope»

Luca Ubaldeschi
Le bandiere dell'Unione europea
Le bandiere dell'Unione europea

Le urne per il voto in Europa si aprono nel nostro Paese sulla scia di una evidente contraddizione. Sono elezioni storiche, probabilmente le più importanti per i temi che la prossima legislatura Ue dovrà affrontare, ma il dibattito italiano è stato in larga parte miope, nel senso che si è fermato troppo spesso sul piano della competizione interna invece di approfondire proposte articolate.

Un vizio antico, si potrebbe obiettare, se non fosse che, rispetto al passato, è più decisivo che mai discutere il ruolo che l’Europa deve avere in un mondo nel quale la democrazia appare più debole o comunque più minacciata di quanto lo sia stata da parecchi decenni a questa parte. Con un’aggravante: che gli ambiti nei quali va disegnato il ruolo dell’Unione non sono oggetti misteriosi, sono invece chiari a tutti, li conosciamo bene, e le risposte che darà l’Europa post-voto indirizzeranno in maniera profonda il destino dell’Unione.

Il fronte più immediato è certamente quello della Difesa. Basterebbe ripensare alla conferenza stampa dell’altro giorno di Vladimir Putin, condita anche dalla battuta che ci ha dedicato («In Italia non c’è russofobia da cavernicoli»), per avere ennesima dimostrazione dell’urgenza di una politica più coordinata sulla guerra in Ucraina. La stessa urgenza che sollecita la crisi in Medio Oriente e che vede come corollario la difesa e l’esercito comuni. 

Un argomento da troppo tempo inevaso perché ostaggio di visioni contrapposte.

Strettamente legato è il tema dell’assetto geopolitico, intendendo il sistema di rapporti con gli altri protagonisti della scena mondiale, gli Stati Uniti, la Cina, l’India. Non dimentichiamo mai che come europei siamo coinvolti nell’anno elettorale più affollato che si ricordi, con al voto il 51% della popolazione mondiale, e che quindi molti assetti sono soggetti a possibili cambiamenti. L’esempio più emblematico è dato dall’eventuale vittoria negli Usa di Donald Trump, che inciderebbe sensibilmente sulle relazioni atlantiche.

Non è una classifica, ma certamente un terzo terreno decisivo, sul quale è necessario misurare la nostra capacità di visione, è quello del cambiamento climatico. Un terreno prediletto per gli scontri politici, ma di fronte al quale l’onestà intellettuale richiede di andare oltre gli slogan, per riconoscere un presupposto incontestabile: consumare meno è la via obbligata.

E che dire del tema migranti, che vede l’Italia così coinvolta? Al netto delle rivendicazioni di schieramento, resta la consapevolezza che continuare a rimandare un approccio coordinato rappresenti un freno evidente alle potenzialità di sviluppo dell’Unione.

Le migrazioni, lo sappiamo bene, non hanno a che fare soltanto con la legalità e la sicurezza, ma molto anche con il lavoro e quindi con la crescita dell’economia. E qui si apre un altro fronte delicato, riassumibile in una domanda: le prossime istituzioni della Ue sapranno ragionare di una cassa comune per finanziare lo sviluppo, replicando in buona sostanza lo schema del Piano nazionale di ripresa e resilienza nato dall’emergenza Covid?

Resta un tema da considerare nel pacchetto delle urgenze, ed è assolutamente strategico. È quello delle riforme istituzionali, che passa dall’allargamento, cioè dall’ingresso dei Paesi in lista d’attesa, e arriva a un punto di snodo fondamentale: il superamento delle decisioni all’unanimità per adottare quelle scelte a maggioranza capaci di far crescere la velocità di viaggio dell’Ue.

Il cantiere della nuova Europa passa sostanzialmente da queste sei materie, sulle quali vorremmo vedere l’Italia protagonista. Ma ripensando alla nostra campagna elettorale, quanti di noi sarebbero in grado di ricavarne con precisione le posizioni e le proposte dei partiti che ci apprestiamo a scegliere? E non è colpa soltanto nostra, perché magari siamo disinteressati o distratti. Molto dipende dal fatto che gli stessi partiti contribuiscono ad alimentare la confusione.

Pensiamo ai principali protagonisti. I tre partiti che formano la maggioranza di governo in Italia – FdI, Lega, Forza Italia – appartengono in Europa a tre gruppi differenti, che a volte portano avanti istanze diverse. E la prima forza di opposizione – il Pd – schiera fra i candidati principali chi sostiene sulle forniture militari all’Ucraina una linea divergente rispetto a quella seguita finora dalla maggioranza del partito.

Sono piccoli esempi, ma contribuiscono (anche pensando al tono del dibattito, dallo scadimento del linguaggio agli sconsiderati attacchi al Capo dello Stato) ad alimentare la convinzione che anche questa volta l’attenzione si concentri sugli effetti che il voto può avere entro i confini nazionali, annacquando così il profilo di questo passaggio elettorale. Facendo peraltro torto ai nostri stessi interessi, semplicemente perché l’Europa è il nostro futuro. E come scrisse il drammaturgo premio Nobel, John Galsworthy, «Chi non pensa al futuro, non ne avrà uno». 

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