Che cosa fa un investigatore privato nel 2025? «Niente più crisi di coppia, indago sui dipendenti in malattia»

Edi Ciesco racconta la sua lunga esperienza come investigatore (20 anni in polizia): «Il contesto familiare non più preponderante se non ci sono di mezzo dei figli»

Laura Blasich

Sul tavolo del suo ufficio il computer, della cancelleria, la licenza da investigatore privato e il prezziario. «Lo metto subito davanti al cliente che entra qui per la prima volta, dicendogli che costo come un meccanico Audi in fondo». Alle spalle 22 anni di esperienza, dopo i 20 e più in Polizia, Edi Ciesco svolge solo una parte dell’attività negli spazi ricavati al primo piano della Galleria Gran Pavese di via Duca d’Aosta. «Il mio lavoro, e quello dei miei collaboratori, ora tre, dal prossimo anno cinque, è fatto sempre di osservazione e di scavo nelle reti sociali, perché i confini normativi, soprattutto sulla privacy, sono stringenti in Italia e chi è un professionista li rispetta».

Edi Ciesco, investigatore privato a Monfalcone
Edi Ciesco, investigatore privato a Monfalcone

Qualcosa sarà cambiato però in 22 anni: ci sono l’Ai, gli smartphone, le nuove tecnologie...

«Si, la macchina fotografica non si usa più, perché le fotocamere degli smartphone professionali sono eccezionali, mentre si utilizzano dei software per verificare se proprio in uno smartphone sono stati inseriti dei “bugs” che consentono di accedere ai dati contenuti. Una richiesta che riceviamo da uomini e donne. Il lavoro è fatto sempre di sopralluoghi di persona. Il primo lo faccio io e poi ruotano i collaboratori, anche per motivi di riconoscibilità. È cambiato l’approccio nei confronti delle agenzie investigative: oggi ci si occupa di spionaggio industriale, vendita di dati, truffe telematiche. E un investigatore privato può muoversi subito, raccogliendo elementi di prova. Anche se poi le lettere anonime esistono ancora, scritte con il normografo».

Chi sono quindi oggi i suoi clienti?

«Ora c’è un uso maggiore dell’investigazione in ambito lavorativo, sui dipendenti e l’utilizzo della malattia. Fincantieri si appoggia a realtà di altri territori. Nei primi anni l’ambito coniugale e familiare era preponderante, mentre ora la separazione viene gestita in modo meno conflittuale. A meno che non ci siano di mezzo dei figli: il lavoro si è spostato sull’accertamento della capacità genitoriale di uno dei due componenti della coppia. Vedi quella di una madre che portava i tre figli minori in “privata”, trascurandoli. Non sempre i Servizi sociali in passato sono riusciti a fotografare la situazione velocemente. Ci sono ex mariti, o anche ex mogli, che, alle prese con il pagamento di assegni di mantenimento e di quelli per i figli, chiedono però di capire se la controparte abbia attività non tracciate, che di fatto aumentano reddito e capacità di spesa. Ci sono famiglie della zona che vogliono degli accertamenti sulla badante che cura i genitori e il tema è di solito la gestione dei soldi dell’anziano. In ogni caso a Monfalcone si è ampliato il divario tra la classe medio-bassa, che una volta poteva permettersi di rivolgersi all’agenzia, e chi ha disponibilità».

La situazione più singolare in cui si è trovato?

«Diciamo che ho dovuto viaggiare, in Colombia per un caso e in Messico per cercare dei documenti di matrimonio, incaricato da un italiano sposato con una donna straniera. Ho avuto clienti di origine bengalese: una decina d’anni fa il titolare di un negozio attivo in città mi ha chiesto di cercare un connazionale che aveva acquistato a credito per qualche migliaio di euro senza poi saldare. Si era trasferito nella zona di Milano, dove aveva fatto perdere le sue tracce. Sempre a Milano, però, sono riuscito a individuare i reali gestori di una società di facciata che aveva truffato un’impresa dell’Isontino per alcuni milioni di euro. Il “prestanome” era un uomo preso dalla strada, ripulito, portato dal notaio e riportato sulla strada con un compenso di poche centinaia di euro».

Una decina d’anni fa ha affiancato, gratuitamente, la famiglia di Ramon Polentarutti, sulla cui scomparsa, avvenuta nel 2011, si è indagato a fondo solo dopo il ritrovamento delle sue ossa nel canale Valentinis nel novembre del 2012. Che cosa ricorda di quel caso?

«Una situazione triste, nata in un contesto di tossicodipendenza. Ci si poteva muovere molto prima e l’indagine è nata tardi, ritengo in virtù del fatto che Polentarutti era un tossicodipendente. Chi è la vittima conta, ancora».

Non è stanco, non le viene voglia di smettere?

«Confesso di aver cercato qualcuno che mi affiancasse per poi cedergli il testimone. Non l’ho ancora trovato. Ora per ottenere la licenza ci vuole una laurea almeno triennale in Giurisprudenza, in Psicologia a indirizzo forense, in Sociologia, in Scienze politiche, in Scienze dell’investigazione o in Economia. A rilasciarla è sempre la Prefettura. Il tesserino di riconoscimento arriva dal Ministero degli Interni. Qualche giovane avvocato guadagnerebbe di più facendo la mia professione, su cui continuano a esserci dei pregiudizi, perché viene considerata meno nobile. Ora ho tre collaboratori, che il prossimo anno però diventeranno cinque, e il range dei servizi offerti aumenterà».

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