Bernadette e la sua malattia rara, solo altri 15 casi al mondo. La mamma: «Mia figlia è un portento»

La bimba veneziana ha 10 anni e soffre di una alterazione del cromosoma 15: non vede, non parla, non cammina. La madre: «Le auguro che ci sia libertà di decidere sulla sua vita»

Maria Ducoli
Bernadette, dieci anni, con la mamma Tiziana Ferrara
Bernadette, dieci anni, con la mamma Tiziana Ferrara

«Auguro a mia figlia di poter essere libera di scegliere cosa fare della propria vita, quando le cose si faranno troppo dure. Le auguro che si senta libera di non essere vincolata a noi». Un pensiero difficile da formulare per una madre ma Tiziana Ferrara, tecnica di laboratorio dell’Ulss 4, lo esprime con la lucidità di chi da dieci anni convive con la malattia genetica rara di sua figlia, dovuta a un’alterazione del cromosoma 15.

Bernadette ha dieci anni e «come un saltimbanco si aggrappa al filo sottile della vita con tutte le sue forze», la descrive sua mamma. La forma di encefalopatia epilettica di cui soffre colpisce solo altre 16 persone in tutto il mondo ed è molto grave, tanto che la bambina non vede, non parla, non cammina e non mangia da sola, non va a scuola. Ma Bernadette sorride e trasmette alla sua famiglia tutto il suo amore per la vita.

Quando comincia la vostra storia?

«Nel 2015, quando è nata mia figlia. Pensavamo che fosse sana, mutazioni genetiche di questo tipo sono così rare da non emergere dall’amniocentesi. A due mesi e mezzo sono iniziate le prime crisi epilettiche, scambiate inizialmente per colichette. Poi il quadro si è aggravato e c’è stato il primo ricovero all’ospedale Burlo Garofolo di Trieste, poi al Meyer di Firenze».

Quando è arrivata la diagnosi?

«Dopo un anno intenso, in cui le crisi sono state talmente forti da averle atrofizzato il cervello».

Com’è stato sentirsi dire che la propria bimba soffre di una patologia rara?

«Uno tsunami, ma ce l’aspettavamo, avevamo capito che l’epilessia era solo un sintomo di qualcosa di più grave. La diagnosi le ha dato un nome, ma purtroppo non ha cambiato molto le cose, perché una cura non c’è».

Altro aspetto difficile da digerire.

«Il carico emotivo è enorme, sicuramente siamo stati messi a dura prova. Il percorso per arrivare all’accettazione è lungo, per anni ci siamo chiesti perché proprio a noi, perché proprio a Bernadette. Poi, è diventata lei il nostro perché».

Oggi Bernadette ha dieci anni, com’è stato il suo percorso di crescita?

«Tutto in salita, perché crescendo il quadro clinico si complica, l’apparato scheletrico ne risente. Si presentano sempre nuove sfide da affrontare».

Cosa comporta l’encefalopatia epilettica?

«La sua attività cerebrale è continua, non c’è un interruttore che la spenga. Le crisi epilettiche, soprattutto nei primi mesi di vita, hanno avuto un effetto sul suo sviluppo psicomotorio. Non vede, non parla, non mangia, non cammina».

Che bambina è sua figlia, oltre la patologia?

«Un portento. La malattia spesso viene associata alla debolezza, ma lei l’ha trasformata in forza. So che sente tutto il nostro amore e che anche questo la rende così coraggiosa».

Quanto è importante in questi casi il supporto di altre famiglie che si trovano nella stessa situazione?

«Molto. All’epoca avevo creato un blog per cercare aiuto, un modo per raccontare la malattia e vedere se altre famiglie mi avrebbero contattata. Poi la scrittura è diventata una liberazione, tanto che la nostra storia è diventata un libro, La magia dell’amore».

E ha conosciuto altre famiglie nella vostra stessa situazione?

«Sì, anche una 25enne australiana che ha la stessa malattia di mia figlia, tramite il blog. Noi siamo dei veterani, perché lei è tra le più grandi, ma è anche la più grave: l’atrofia cerebrale ha avuto ripercussioni importanti».

In questi anni avete trovato il giusto supporto medico?

«Sì, la nostra salvezza è stato l’Hospice pediatrico di Padova per quanto riguarda le cure palliative e l’assistenza domiciliare pediatrica di Pordenone».

Cosa vi ha insegnato Bernadette?

«La bellezza della vita, anche dove apparentemente sembra non esserci. Eppure c’è e lo si capisce da ogni gesto e sorriso che fa».

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