Morto Alberto Franceschini, tra i fondatori delle Br: fu condannato per gli omicidi di Mazzola e Giralucci
Era stato condannato per concorso anomalo nel duplice omicidio a Padova degli esponenti del Movimento sociale italiano

È morto a 78 anni Alberto Franceschini, fondatore delle Brigate Rosse insieme a Renato Curcio e Mara Cagol. L’ex terrorista è morto l’11 aprile scorso ma la notizia si è diffusa nella serata del 26 aprile.
Era nato a Reggio Emilia da una famiglia di tradizione comunista, un’origine, per sua stessa ammissione, che ha facilitato la sua militanza. Ha sempre sostenuto che il suo percorso nelle Br era un seguito della lotta partigiana, una sorta di filo rosso.
Franceschini fu ritenuto responsabile con sentenza definitiva di numerosi atti terroristici.
Tra questi l’uccisione di due esponenti del Msi, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, avvenuta a Padova nel giugno del 1974 (la condanna fu a 18 anni per concorso anomalo nell’omicidio) e il sequestro a Genova del giudice Mario Sossi, nello stesso anno.
In tutto viene condannato a oltre sessant’anni di carcere con le accuse di duplice omicidio, costituzione di banda armata, costituzione di associazione sovversiva, sequestro di persona, oltraggio a pubblico ufficiale e rivolta carceraria, ma la sua pena verrà poi ridotta.
Entra in politica giovanissimo nelle fila della Fgci, da cui fu deluso dopo degli scontri con il servizio d’ordine del Pci in una manifestazione nel 1969 contro la base Nato di Miramare di Rimini.
Nel febbraio del 1971 non si presenta al servizio militare di leva e inizia la clandestinità: è stato il primo brigatista ufficialmente latitante.
A Milano, nel 1970, aderisce alla lotta armata e fonda con Renato Curcio le Brigate Rosse, diventandone uno dei leader.
Arrestato insieme a Curcio l’8 settembre del 1974 grazie alla collaborazione di Silvano Girotto, conosciuto come Frate Mitra. Franceschini sarà per anni uno dei brigatisti più attivi nelle carceri speciali.
Sempre dal carcere, aderisce al Partito Guerriglia di Senzani dopo la scissione di quest’ultimo dalle Br di Moretti.
Sarà uno dei maggiori fautori della caccia a quelli che l’organizzazione terroristica riteneva “infami” e ciò comporterà alcune brutali esecuzioni di militanti accusati di delazione fino ad arrivare a minacciare di morte anche Toni Negri nel cortile del carcere di Palmi, accusandolo di cercare patti con l’autorità giudiziaria.
Nel 1982 si dissocia dalla lotta armata e, pur non rinnegando la sua militanza, prenderà le distanze dalla violenza politica esprimendo pentimento.
Nel 1987 gli vengono concessi i primi permessi premio e poi i domiciliari. Lascia il carcere definitivamente nel 1992 a pena estinta e, dopo 18 anni di reclusione, lavora presso l’Arci Ora d’Aria.
A febbraio del 2024 l’ultimo caso politico di cui è stato protagonista, quando fu identificato insieme con altre persone che si erano trovate a Milano nei giardini dedicati ad Anna Politkovskaya per commemorare Alexei Navalny. Ancora una volta al centro di polemiche.
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