Silvia Salis: «La cultura sportiva produce libertà»

L’intervento della vicepresidente nazionale del Coni: «Lo sport, e le donne di sport, possono avere un ruolo da protagonisti nel processo di evoluzione culturale che dovrebbe condurci alla parità di genere. Immettiamo la nostra potenza nella macchina paese e vi accorgerete che sapremo guidarla molto meglio di quanto possiate immaginare»
Silvia Salis
Silvia Salis, vicepresidente nazionale del Coni
Silvia Salis, vicepresidente nazionale del Coni

La quota di dirigenti sportive nazionali in Italia è inferiore al 15% del totale, dato deludente certo, ma voglio concentrarmi su un altro dato che lega le donne e lo sport: recenti studi dimostrano un legame inscindibile tra l’emancipazione femminile e la pratica sportiva.

Le donne che praticano sport, soprattutto in età giovanile, sono donne che tendenzialmente studiano e che poi nella vita adulta lavorano e quindi hanno un’indipendenza economica. La cultura sportiva nelle donne produce libertà e questo credo sia la notizia più importante.

Già perché una bambina che gareggia, che inizia a girare il paese per gareggiare, che dispone del tempo libero dedicandolo alla sua passione sportiva e che soprattutto dispone del suo corpo, sarà una donna che avrà sviluppato tutti gli anticorpi necessari ad affrontare un mondo a trazione ancora maschile.

La realtà, anche in questo caso, vede la pratica sportiva un’attività più maschile che femminile per quello che riguarda il cosiddetto “sport per tutti” mentre la situazione cambia (e al Comitato Olimpico ne siamo molto orgogliosi) per quello che riguarda lo sport di vertice dove vediamo qualificarsi ormai da tempo, numeri identici tra gli uomini e tra le donne ai Giochi invernali ed estivi.

Lo sport, e le donne di sport, possono avere un ruolo da protagonisti nel processo di evoluzione culturale che dovrebbe condurci alla parità di genere: penso alle vittorie internazionali delle nostre atlete nel pugilato, nel sollevamento pesi, nel karate e in tanti altri sport per tempo erroneamente pensati solo al maschile, penso all’impatto emotivo e ispirazionale che possono avere sulle bambine, sulle ragazze ma anche sulle donne adulte che da casa vedono l’esempio di come non ci sia niente che possa esserci precluso solo perché nate “femmine”.

Tanti nel tempo mi hanno chiesto perché avessi scelto il lancio del martello, e io rispondevo: perché no? Quel perché no non aveva nessuna risposta sensata e allora ho continuato. Quella scelta, quel perché non io, è stato l’assetto mentale che ha cambiato in meglio la mia vita. Così quando ho iniziato il mio percorso nella dirigenza sportiva, ambiente come dicevo molto al maschile, ho applicato lo stesso ragionamento che si basa sulla certezza che le capacità delle persone, le loro predisposizioni, il loro impegno non abbiano nulla a che vedere con il genere.

Guardandomi intorno però vedo tantissime donne che devono fare il triplo della fatica di un uomo per ottenere o restare nella stessa sua posizione, che fanno i salti mortali per conciliare lavoro e famiglia e che spesso di fronte ad una difficoltà sono le prime a dover rinunciare a un percorso professionale per svolgere in prima persona tutte quei servizi dovrebbero essere garantiti da un sistema di welfare funzionante.

L’Italia è l’ultimo paese in Europa per tasso di occupazione femminile, e ultimo non è un posizionamento negativo ma bensì è la vergogna di questo paese. Il tasso medio di occupazione per noi donne è intorno al 52%, in alcune zone del nostro paese più depresse economicamente le donne disoccupate arrivano a toccare vette del 70%, questi sono numeri che non lasciano scampo.

Questi dati non sono un problema solo per le donne, ma sono una zavorra per tutto il paese, un paese che perde ogni anno un quarto della potenziale forza lavoro. Iniziamo da qui, immettiamo la potenza di noi donne nella macchina paese e vi accorgerete che sapremo guidarla molto meglio di quanto possiate immaginare.

*vicepresidente del Coni

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