Arrestato in Venezuela, chi è Alberto Trentini: vent’anni di missioni nel mondo
Il percorso di Trentini e le sue missioni in Ecuador, Paraguay, Bosnia, Nepal ed Etiopia. La mamma: «La sua più grande soddisfazione è vedere il sorriso delle persone che aiuta»
«Per i migranti in transito distribuiamo kit di igiene, allestiamo spazi adeguati per lavarsi (docce e bagni), sensibilizziamo i bambini alle buone pratiche di igiene personale, come ad esempio l’importanza di lavarsi le mani. I nostri kit contengono sapone, dentifricio, repellenti anti-insetti, pannolini, crema solare, sapone da bucato, asciugamano, kit di primo soccorso. Oggetti di tutti i giorni che però possono fare la differenza per salvaguardare l’igiene e la salute dei migranti».
A marzo del 2019 Alberto Trentini si trovava in Perù, a Tumbes, nel ruolo di coordinatore della ong italiana per cui lavorava in quegli anni. Nelle sue parole, l’impegno e l’umanità nel fornire l’assistenza necessaria ai flussi migratori provenienti dal Venezuela. Famiglie e bambini in difficoltà, costretti dalle circostanze a mettere in gioco la propria vita in cerca di un futuro migliore nella speranza, lungo la strada, di trovare una mano a cui chiedere aiuto. Quella mano, negli ultimi vent’anni di studio e lavoro sul campo, Trentini non l’ha mai tirata indietro.
«Lui è speciale per tutto quello che ha fatto in questi anni, aiutando gli altri. Mi diceva sempre che la più grande soddisfazione era vedere il sorriso delle persone che aiutava, gente, i caminantes in fuga dal Venezuela che arrivavano da loro con le scarpe sbriciolate», così ieri la madre di Alberto. Anche chi l’ha visto nascere e crescere, come la sua vicina di casa dell’epoca Chiara Bacco, racconta che la sua vita negli anni è stata «plasmata» da queste esperienze.
La vita di Alberto Trentini
Nato al Lido di Venezia e diplomatosi al liceo scientifico Benedetti, il 45enne veneziano si laurea nel 2004 in storia moderna e contemporanea all’università di Ca’ Foscari. Nel 2013 consegue il diploma in assistenza umanitaria a Liverpool, infine nel 2021 ottiene il diploma al master di Water, Sanitation and Health Engineering a Leeds.
In mezzo, una marea di esperienze sul campo sparse in giro per il mondo. Nel 2008 è in Ecuador, poi in Bosnia. Tra il 2013 e il 2014 si sposta invece in Etiopia nell’ambito di un progetto finanziato da Europa e Fao per migliorare i mezzi di sussistenza delle comunità agropastorali dell'Etiopia meridionale. Nel 2014 si sposta in Paraguay per gestire la risposta all’emergenza alluvione che sconquassa il paese.
L’anno successivo si sposta in Nepal e poi ancora in Grecia. Tra il maggio e il dicembre 2017, Alberto lavora in Perù, a Piura, in un progetto volto ad assistere 1.500 famiglie colpite dalle inondazioni.
Nello specifico, il progetto puntava a migliorare l'accesso all'acqua potabile, ai servizi igienico-sanitari, alle pratiche igieniche, alle gestione dei rifiuti solidi all'interno dei rifugi temporanei allestiti nei distretti di Catacaos e Cura Mori. A cavallo del 2020, invece, sempre in Perù fornisce assistenza ai migranti provenienti dal Venezuela.
L’impegno umanitario
Per lo più si tratta di giovani coppie di età compresa tra i 18 e i 24 anni, con bambini piccoli al seguito. «I migranti», è ancora lui che parla in un report scritto all’epoca per la sua ong nel quale descriveva l’attività svolta sul campo, «arrivano al Centro Binazionale di Assistenza alle Frontiere a qualsiasi ora della notte e del giorno, in alcuni casi dopo 5, 6, 7 giorni di cammino: uno stress fisico, emotivo e psicologico per tutti, ma soprattutto per donne e bambini.
Spesso devono accettare lavori umilianti e sfiancanti per raccogliere i soldi per il viaggio. Questa è una situazione particolarmente critica, soprattutto per le donne, che spesso subiscono abusi sessuali o altri tipi di violenza. Quando arrivano, non dispongono delle risorse necessarie per soddisfare anche i bisogni più elementari e le loro condizioni igienico-sanitarie sono compromesse».
A partire dal 2022, la sua attività si sposta prima in Colombia e poi in Venezuela, con la ong francese Humanity and Inclusion.
Sempre in prima linea per aiutare il prossimo. Anche nei contesti più difficili. Lontano da casa per lunghi anni.
Ora però la speranza della famiglia e degli amici è che Alberto possa uscire il prima possibile dal carcere venezuelano per rientrare in Italia da cittadino libero.
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