I giovani cambiano aria: l’Italia non fa più per loro
(15 mila in dieci anni
dal solo Nordest).
Appena 1 ragazzo su 4
confida nelle istituzioni. Tanti Paesi “minori”
ci hanno superato
nella classifica
delle università:
Milano, prima, è 123ª
Espropriati del futuro. Alla voce “giovani”, su google, corrispondono 210 milioni di risultati: un Niagara di parole che si accompagna ad un Sahara di fatti.
Dall’economia all’ambiente, dalla salute alla formazione, le generazioni del presente hanno colpevolmente sottratto a quelle del domani delle risorse che contano, condannandole a un’esistenza da comprimari.
Anche e in misura pesante in Italia, compreso il Nordest che si consola con l’autonarrazione dei propri presunti primati, ignorando il proprio progressivo degrado. Come confermano ripetuti segnali: incluso quello proposto dalla Fondazione Nordest, che spiega come quest’area nell’arco di dieci anni abbia perso 15mila laureati. Nello stesso arco di tempo, il Paese nel suo insieme ne ha visti sparire oltre 110mila.
È un’emorragia senza fine, che in Europa sta relegando l’ex locomotiva d’Italia nelle posizioni di margine: altro che Baviera tricolore, come troppi Soloni di periferia l’hanno magnificata.
A dimostrarlo è un apposito indicatore che misura la capacità di attrazione delle singole regioni europee sulla base di una serie di variabili: il Veneto arranca al 58° posto, il Friuli-Venezia Giulia al 69°, il Trentino-Alto Adige al 72°. A bocciarle sono fattori come il basso numero di laureati rispetto alla media continentale, e la ridotta quota di figure impiegate nei settori creativi e della conoscenza. A rincarare la dose è un apposito indicatore, lo Youth Progress Index, che misura la condizione giovanile in 190 Paesi: il nostro figura appena alla 26ª posizione; e finisce relegato addirittura al penultimo posto nella graduatoria che registra gli squilibri tra generazioni.
“Non è un Paese per giovani”, avvertivano nel 2009 un libro di Elisabetta Ambrosi e Alessandro Rosina, e nel 2017 un film di Giovanni Veronesi. Due foto impietose ma veritiere di un’Italia ridotta a pervicace gerontocomio, e che ai giovani sottrae non solo spazi fisici ma anche attenzione politica e sociale.
Lo ribadisce, e alla grande, l’annuale rapporto statistico della Regione Veneto, che dedica un capitolo specifico al tema “Essere giovani”, con uno sguardo d’insieme al quadro nazionale visto nel contesto dei Paesi Ocse, vale a dire i più sviluppati.
Nella platea dei giovani compresi tra i 15 e i 29 anni, appena uno su quattro ha fiducia nelle istituzioni, l’esatta metà della media generale; quanto a quella nei partiti, in una scala da 1 a 10, il voto loro assegnato è 3. Numeri che bastano e avanzano per toccare con mano l’abissale distacco tra le giovani generazioni e chi dovrebbe pensare e provvedere al loro futuro.
È una distanza che si tocca con mano in voci strategiche come il lavoro, ma più ancora la formazione, università in testa. Nella recente classifica del Qs ranking sui migliori atenei al mondo, il primo italiano (Milano) viene appena al 123° posto, preceduto non solo dai “big” americani e inglesi, ma anche da sedi di Argentina, Messico, Taiwan, Corea del Sud, Nuova Zelanda: specchio di un sistema tarato da elevato tasso di abbandono, tempi di laurea più lunghi della media e risorse troppo limitate, come segnala la stessa Anvur, l’agenzia di valutazione del sistema universitario. Con un risultato impietoso, documentato da tanti, troppi voti negativi: siamo un Paese fuori corso.
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