Addio all’ex presidente De Poli per 26 anni “faraone” della Marca

Aveva 90 anni, dal 1992 alla guida di Fondazione Cassamarca. È morto martedì nella casa di riposo di Santa Bona
SPARVOLI TREVISO VINCITORI DEL CONCORSO ''SOPA DE TRIPE'' A CASA DEI CARRARESI, IN FOTO DINO DE POLI AGENZIA FOTOGRAFICA FOTOFILM
SPARVOLI TREVISO VINCITORI DEL CONCORSO ''SOPA DE TRIPE'' A CASA DEI CARRARESI, IN FOTO DINO DE POLI AGENZIA FOTOGRAFICA FOTOFILM

TREVISO

È spirato ieri nella casa di riposo di Santa Bona: Dino De Poli, onorevole, avvocato cassazionista, avrebbe compiuto 91 anni fra un mese.

Con lui scompare l’ultimo paròn di Treviso, l’ex leader Dc che al timone di Cassamarca prima (5 anni) e della Fondazione poi (26, ininterrotti) ha disegnato la Treviso di oggi, città polo culturale e ricerca hi-tech, alle spalle di Venezia, porta Nord fra Pedemontana e laguna. Quale trevigiano non ha risparmiato, quale parrocchia o associazione non ha avuto contributi? E chi, indebitato, non si è rivolto al Monte di Pietà? Ma De Poli non ha scritto solo una pagina socioeconomica della Marca, dalla prima poltrona della banca territoriale per antonomasia.

Presidente di Fondazione, riceve in dote nel ’92 il forziere dei trevigiani: 2.000 miliardi di lire, oggi un miliardo. E crea quella Treviso del Duemila, elevata dal progetto simbolo, la cittadella Appiani, superpolo e direzionale pubblico.

E fa scoprire alla città una rivoluzionaria dimensione turistica internazionale, innescata dal lancio delle grandi mostre di Goldin, sua scommessa vincente. Svolta copernicana.

E blindato da uno statuto anomalo, “antidemocratico” sarà il mecenate illuminato. Nel 2000 riapre l’università a Treviso, chiusa da 6 secoli; salva e restaura il Comunale chiuso dal Comune sommerso di debiti. E nel 2009 corona il sogno della cittadella, firmata dall’archistar Mario Botta: rivoluzione urbanistica che svuota il centro e spacca tuttora i trevigiani.

Era nato in Cae de Oro, povero. Parrocchia, liceo e poi l’Azione Cattolica, allora Giac - sarà amico di Eco, altro dirigente nazionale - poi l’adesione alla Dc, sinistra di base ovvero Marcora & Co. Sarà consigliere comunale, due volte assessore con Chiereghin (1959- 1962), referato cultura e turismo, avviando il gemellaggio con Orleans e il festival della cucina trevigiana. Referati e idee premonitori. E poi deputato dal 1968 al 1972, infine presidente dell’Ente Cellullosa e Carta (1973-1982).

Nel 1987 la svolta. Succede a Bruno Marton, è presidente della Cassa di Risparmio della Marca Trivigiana. E da lì lavorerà per un altro sogno, la grande banca del Nordest, che accompagni e sostenga il boom. Fa asse con Verona e Biasi, con Venezia e Carive. Torino è interessata, ma poi guerra dei campanili e avvento di Credito Italiano spazzano tutto.

E forse per quello, nel ’92, assumerà anche la guida della Fondazione, nata dalla riforma Amato. Fino al 2000 terrà le due poltrone, poi deve scegliere e lascia la banca. Da Ca’ Spineda scenderà solo nel 2018: un quarto di secolo di potere assoluto (in minoranza una sola volta), formidabili progetti, un ego incontenibile (ultima ricandidatura a 83 anni), poca misura (i contratti di 99 anni con Bo e Ca’ Foscari...), ma visione, intelligenza e ironia pure incontenibili. Non le mandava a dire, con battute fulminanti: vedi le «vice opinioni di Gentilini», con lo Sceriffo non più sindaco.

Inattaccabile e intoccabile lo era per statuto. E tutti gli hanno obbedito. O forse sapeva come pochi applicare il “divide et impera”. Lo hanno fermato solo la riforma Acri e il tetto dei mandati, altrimenti sarebbe rimasto in cda.

E tutto è andato bene – soldi a palate, dividendi record di Unicredit, uno da 24 milioni – fino alla maxicrisi finanziaria del 2008. La rottura con Gentilini e Zaia, l’idillio con Gobbo, ma il declino di Fondazione è inesorabile, in Unicredit scende da 0,71% a 0,1%. E anche la visione di De Poli vacilla, senza risorse. Patrimonio eroso, maxidebito (220 milioni, ora 120), tardiva spending review, dopo decenni di spese sfrenate.

A dicembre 2018, l’uscita di scena dal palazzo di piazza San Leonardo. E il retiro nella casa di viale Luzzatti, blindato dalla famiglia.

Lascia la moglie Renza, i figli Mauro, laureato in Legge con lui in studio, e Nicoletta, il nipote Giulio, il fratello Ugo e la nipote Margherita. L’addio in forma privata, venerdì mattina.

Ma lascia alla città – da ultimo imperatore, sopravvissuto a Prima Seconda e Terza Repubblica, a Balene Bianche e tangentopoli, a Leghe e Berlusconi – un impareggiabile patrimonio, senza che la sua Fondazione abbia ora risorse per mantenerlo. Treviso e la Marca potranno davvero valutare l’enorme, storico, imponente (e ingombrante) lascito. —



© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova