Addio città metropolitana, risorgono le Province

In vista il ritorno alle norme “salva Italia”, il governo: «Rischio caos istituzionale»
PUCCI TREVISO SEDE DELLA PROVINCIA A SAN ARTEMIO AGENZIA FOTOGRAFICA FOTOFILM
PUCCI TREVISO SEDE DELLA PROVINCIA A SAN ARTEMIO AGENZIA FOTOGRAFICA FOTOFILM

VENEZIA. Un emendamento del Pd «sfida» gli scettici della Città metropolitana. Marco Stradiotto, Felice Casson, Tiziano Treu e Paolo Giaretta hanno presentato un emendamento al decreto sulla riduzione delle Province che introduce, di fatto, la Città metropolitana PaTreVe (Padova, Treviso, Venezia). L’emendamento avrebbe anche il sostegno del senatore pdl Maurizio Castro.

Peccato che il decreto legge sul riordino delle Province sia destinato a un binario morto a causa della decisione del Pdl di «staccare la spina» al governo guidato da Mario Monti. «Vogliamo sfidare chi diceva che la Città metropolitana secondo i confini della provincia veneziana era sbagliata a votare questo emendamento» spiega Marco Stradiotto. «Così si capirà davvero chi ha affossato questa soluzione». E questa mattina a Venezia, la Fondazione Venezia 2000 promuove un seminario proprio su «Le dimensioni e i progetti di Venezia Metropoli» con la partecipazione dei sindaci di Treviso, Padova e Venezia.

La situazione generale, però, ha del paradossale. Perché il decreto legge sul riordino delle Province è destinato a non essere convertito in legge. E dunque la situazione tornerà ad essere quella del precedente decreto «salva Italia» (convertito in legge). Tramonta l’accorpamento di Treviso e Padova e di Verona con Rovigo, tramonta la città metropolitana. Spariscono le giunte provinciali, rimangono solo i presidenti (trasformati, di fatto, in commissari) e un consiglio provinciale di dieci membri eletto dai consigli comunali del territorio.

Secondo uno studio del Dipartimento delle Riforme del Ministero della Funzione Pubblica si rischia una situazione di «caos istituzionale» con un balzo di costi nella gestione dei servizi e nella ripartizione delle competenze.

«Tra le conseguenze, oltre ai mancati risparmi, la lievitazione dei costi a carico di Comuni e Regioni e il blocco della riorganizzazione periferica dello Stato» si legge nello studio, realizzato dal Dipartimento delle Riforme del Ministero della Funzione Pubblica. «I perimetri e le dimensioni delle province - sottolinea il documento - resterebbero quelli attuali (rinascono 35 province) e verrebbe meno l’individuazione delle funzioni “di area vasta” come funzioni fondamentali delle province, sicchè le province restano titolari di sole funzioni di indirizzo e coordinamento». Di conseguenza, viene evidenziato, «le Regioni dovranno emanare entro la fine di quest’anno leggi per riallocare le funzioni tra Comuni e Regioni medesime. Ciò comporterà tendenzialmente la devoluzione delle funzioni alle Regioni con conseguente lievitazione dei costi per il personale e la probabile costituzione di costose agenzie e società strumentali per l’esercizio delle funzioni». Qualora «le Regioni non provvedessero lo Stato dovrà intervenire in via sostitutiva, quindi bisognerà valutare, Regione per Regione, come riallocare le funzioni ora esercitate dalle province».

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