Agopuntura, il Veneto non fa la legge e i medici scappano

VENEZIA. Si restringe la cruna dell’ago. Quello bimetallico, impiegato dai medici specializzati in agopuntura che, attraverso la stimolazione nervosa e cutanea del paziente, cura un ventaglio crescente di sindromi dolorose. Una disciplina complementare largamente consolidata e diffusa, che si apprende all’università e da tempo rientra nei Lea, i livelli essenziali di assistenza prescritti come obbligatori al servizio pubblico dal ministero della Salute.
SoluzIone costo zero
Che succede? L’assenza di una legge veneta in materia vieta agli aspiranti agopunturisti l’accesso al registro professionale dell’Ordine dei medici, un requisito essenziale per praticare la terapia nei laboratori accreditati: circostanza, questa, che scoraggia, anzi, dissuade i giovani laureati dall’iscriversi alle scuole di formazione nostrane, una ventina, destinate, in più casi, a chiudere i battenti in tempi ravvicinati. Una criticità crescente, comune ad altre branche della medicina del benessere – omeopatia e omotossicologia, fitoterapia e medicina antroposofica – che suona paradossale, generata com’è non da una crisi delle vocazioni o da un calo congiunturale della domanda (a tutt’oggi in crescita) ma da un vuoto legislativo regionale incomprensibile, che si traduce nel mancato recepimento delle regole e delle garanzie previste dalla (buona) legge-quadro nazionale, risalente addirittura al 2013.
L’inizitiva insabbiata
In verità la soluzione sembrava a portata di mano un paio d’anni fa, allorché Giampiero Possamai – il presidente della quarta commissione di Palazzo Ferro-Fini – prestò finalmente ascolto ai malcapitati camici bianchi. Convocati in assemblea all’ospedale di Treviso, sottoscrissero in 250 un documento di sostegno alla riforma, culminata nel progetto di legge presentato da cinque consiglieri leghisti: oltre a Possamai, il veterano Alessandro Montagnoli, Fabrizio Boron (che presiede la commissione sanità), la speaker d’aula Silvia Rizzotto e l’emergente Riccardo Barbisan.
FatturatI modesti
Un testo esaustivo, che norma le modalità d’esercizio in ogni suo aspetto – dall’istituzione degli elenchi professionali all’ambito di competenza, dai corsi di formazione alla collocazione degli specialisti – in un quadro di «neutralità finanziaria», ovvero a costo zero. Correva il marzo 2018: da allora – nonostante le ripetute sollecitazioni - la proposta dorme in un cassetto. Perché? «Ogni anno», è la replica dei medici complementari «noi curiamo circa 400 mila veneti affetti da dolori cronici non maligni, e spesso conseguiamo esiti risolutivi, tuttavia apparteniamo ad una branca “povera” della sanità. La nostra strumentazione è l’ago, non il robot chirurgico, pratichiamo cicli di sedute da 60-100 l’euro l’ora, siamo moscerini a fronte dei fatturati colossali dell’industria farmaceutica o delle società che brevettano tecnologie. Per questo, forse, risultiamo meno appetibili sul mercato politico». Forse. —
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova