Alberto Del Biondi: "Liberiamoci del brutto"

Uno schizzo della sua azienda, signor Del Biondi?
"In uno spazio di 9 mila metri quadrati lavorano più di cento tra designer, analisti di mercato, tecnici, esperti di marketing, trend hunter di nazionalità diverse; per un fatturato di 10 milioni di euro e 1.200 progetti realizzati l'anno".
Come ama autodefinirsi?
"Sono un designer e un imprenditore".
Con un background di famiglia nel design?
"No. Sono un selfmade-man col gene della creatività nel Dna. Fin da piccolo ero certo di cosa volevo indossare, di come doveva essere il mio personale universo. Al primo anno di scuola di design della calzatura nella Riviera del Brenta, mi sono ritirato: avendo chiari in mente i miei concetti, non sopportavo l'imposizione di quelli altrui".
E a quel punto?
"Ho trascorso qualche anno nell'acquisizione di brand per cui operare, sfruttando anche l'esperienza degli stilisti americani in zona; a 19 anni ho messo su il mio primo studio e sono "esploso" in fretta. Per motivi di privacy, non posso divulgare il nome dei marchi per cui creo, ma la mia azienda è leader mondiale sia nel design della calzatura dress (elegante) che active (destinata al tempo libero). Il fashion, declinato in una vasta gamma di accessori, rimane il core business dell'azienda, ma poco per volta siamo andati allargandoci all'industrial e negli ultimi anni all'interior ed all'architectural design".
Vuole spiegarci meglio?
"Anche le scarpe sono un oggetto di design industriale, nella misura in cui, per farne un prototipo, impieghiamo tecnologie sofisticate in grado di soddisfare criteri di funzionalità, estetica, esclusività: gli stessi che ci hanno permesso di progettare macchine per il fitness, arredi da ufficio, prodotti per il lighting, personalizzazioni di elicotteri e imbarcazioni, collaborazioni nel mondo dell'automotive (auto, moto); da qui il passo verso la progettazione e il restauro di case e alberghi, il loro arredo è stato naturale e ci sta dando grandi soddisfazioni".
Spaziare in ambiti così diversi non è tuttologia?
"Perché? To design significa progettare, senza qualificare l'ambito o il livello del progetto. L'importante è possedere una propria originale visione dell'esistenza ed essere in grado di applicarla al proprio lavoro".
La sua da dove parte?
"Dalla natura e dal sapiente rapporto tra l'uomo e la terra. Amo cogliere nella nostra campagna, pur ferita, gli aspetti di rigorosità e armonia: l'ordine dei campi arati, i solchi paralleli, la giusta disposizione delle piante, le viti poste alla stessa altezza e legate a tutori ben mimetizzati. Nulla è volgare e artificioso nel millenario scambio tra il contadino e l'ambiente, tutto è cultura. Per me è la stessa cosa: il mio lavoro consiste nell'arrivare all'essenza del pensiero, togliendo e semplificando di continuo; nel realizzare appieno la funzione, cui un oggetto o un progetto sono destinati; nel tenere sempre presenti le esigenze del fruitore, che è l'uomo. Un buon design crea non solo ricchezza, ma anche maggior benessere, educazione al bello, responsabilità verso l'ambiente. Esso migliora la qualità della vita sia a livello individuale che collettivo".
A proposito di ambiente: che importanza vi attribuisce?
"La sento moltissimo, è ormai divenuto un problema sociale ed un designer ha il dovere di arrivarvi a riflettere prima degli altri. Nel mio ambito professionale quest'aspetto è fondamentale nella scelta dei materiali e dei processi: due filoni cui presto grande attenzione, con una spiccata predilezione per i materiali naturali. Nel recente progetto di ristrutturazione di una villa anni '60 a Cortina, il nostro spirito è stato quello di riorganizzare gli spazi in assoluta sintonia con l'ambiente circostante; adottando legno e pietra totalmente privi di trattamenti artificiali. Noi lavoriamo per grandi aziende di tutto il mondo sempre più interessate al problema ambiente e che richiedono ai fornitori una sensibilità particolare nel realizzare progetti coerenti con questa visione".
Una città europea a suo avviso piacevole e funzionale per i cittadini?
"Bilbao: un tempo anonima e rilanciata grazie a progetti architettonici prestigiosi, che l'hanno resa una meta turistica ambita".
E una italiana?
"Le città italiane andrebbero ripensate e riprogettate con maggiore attenzione ai dettagli ed alla vivibilità. Spesso siamo immersi nel brutto, gli arredi urbani sono eseguiti senza la minima cura e tradiscono l'ambiente. Credo che l'architettura abbia un gran peso nella cultura odierna, se non altro per rispetto al nostro immenso patrimonio storico. Le cose antiche hanno un fascino, che nel nuovo si perde. Mi capita talvolta di avere dei colpi di fulmine per oggetti ed edifici, in cui si respira un'aria di tradizione e non dimentico che designer è anche colui che riscopre e riattualizza l'antico. Tornando al design: per me deve rispondere ai criteri dell'estetica e della funzionalità, solo così migliora la qualità della vita delle persone. Non si può, preoccupandosi solo dell'estetica, isolare il prodotto dal contesto: io riesco a percepirne l'essenza solo pensando alla persona, che lo utilizza e nell'ambito di un mio concetto-chiave: la semplicità".
La sua opinione su Padova in progress: auditorium, riconversione del vecchio tribunale in centro culturale San Gaetano?
"Credo che il design potrebbe dare una mano anche alla mia città, dove siamo portatori di cultura, valori e stili di vita, che non possiamo disattendere. Nei progetti da lei citati debbono trovare spazio tutta la creatività ed il dinamismo, che siamo in grado di esprimere. L'arredo del centro San Gaetano, ad esempio: guai a lasciar perdere un'occasione tanto preziosa per affermare la "nostra" cultura. Personalmente sarei più che lieto di stimolare un progetto di interior decoration per quella che è destinata a diventare un'icona della città a livello nazionale, e non solo. Lancio una proposta tutt'altro che teorica: perché non coinvolgere aziende locali nel produrre arredi e complementi disegnati e realizzati per l'occasione? Potrebbe rivelarsi una straordinaria modalità di fare marketing ed una forma di mecenatismo da... principi rinascimentali. La sinergia tra economia e cultura produce risultati straordinari con reciproca soddisfazione. Non trova che sia arrivato il momento di far fare a Padova un salto di qualità? Ciascuno nel proprio ambito".
La prendiamo in parola. E ora la soluzione d'un piccolo mistero: perché la struttura della sua azienda dà un'impressione di estraneità al mondo esterno?
"E' una scelta voluta. L'Industria del Design vuole estraniarsi dal tessuto preesistente, focalizzandosi sulla privacy degli spazi interni. Abbiamo scelto di privilegiare un impianto architettonico in contrasto dialettico con il preesistente tessuto industriale, realizzando un volume dall'apparenza emblematica. Questo agevola il lavoro di creazione e concentrazione al nostro interno. Anche le pareti in vetro U Glass sottolineano questo concetto, permettendo la permeabilità della luce ma non dello sguardo".
Dove va il design nel futuro a medio termine?
"Vista la gravità del problema, dobbiamo ritornare al rapporto tra uomo-ambiente, la cui complessità ci chiede un ulteriore stimolo alla creatività progettuale ed una sfida verso nuove frontiere professionali. Alcuni temi: partendo dal come isolare le abitazioni con materiali adeguati dal punto di vista termico, belli da vedere e, perché no, derivanti da un processo di riciclo, fino all'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nell'ottica di un risparmio energetico. Pensiamo al problema dell'acqua e del suo dispendio durante una doccia quotidiana: perché non progettare docce in grado di erogare l'acqua nella quantità che ci serve? Nella stessa ottica potremmo realizzare abiti, scarpe, accessori in materiale di riciclo: un itinerario senza fine".
In un'esistenza senza respiro ha trovato il tempo di "disegnare" anche la propria vita affettiva?
"Lo spazio degli affetti non manca nella mia vita. Con mia moglie ci conosciamo da una vita e condividiamo tempi e spazi anche sul lavoro, mentre a casa mi aspettano due splendide figlie alle quali dedico ogni attimo libero".
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