Alle famiglie dei terroristi Isis gli stipendi dei tre kosovari

venezia
I finanziamenti alle famiglie di combattenti dell’Isis: qualche migliaio di euro, quanto era nelle loro possibilità di camerieri nei locali di Venezia, ma arrivati a imam estremisti e parenti di jihadisti morti, su indicazioni ricevute via Facebook.
Prima ancora delle parole e dei video di «straordinaria crudeltà» che vedevano, sono stati quelle donazioni a convincere il giudice per le udienze preliminari Massimo Vicinanza a sentenziare che, sì, nel cuore di Venezia, nell’inverno del 2017, «nell’appartamento di San Marco 1776, gli imputati hanno dato vita ad una cellula estremista islamica, potenzialmente capace di commettere azioni terroristiche sul territorio italiano».
I soldi alle famiglie dei combattenti “martiri”, dunque, prima ancora dei video che guardavano rapiti, come quello dove un jihadista uccide un uomo legato, tagliandogli polsi e collo, come fosse una lezione dell’orrore, istigando chi lo guadava «a combattere: uccideteli e agite». Prima ancora delle foto che li ritraevano al poligono di tiro, con un machete o un mitra in mano; prima delle intercettazioni in cui il minorenne del gruppo spiegava di voler tagliare la testa ai kafir (gli infedeli) come fosse una cipolla, invasato al punto di incitare: «A Venezia ti conquisti il paradiso con tutti i monafik (ipocriti della religione) che ci sono qua, avercela una bomba...a Rialto».
Così si legge nelle motivazioni della sentenza, con la quale il giudice nei mesi scorsi ha accolto le tesi accusatorie della Procura antiterrorismo di Venezia e ha condannato a 5 anni il kosovaro Arjan Babaj «una sorta di guida spirituale, che ha condizionato inquilini e ospiti in un’interpretazione del Corano del tutto personale e orientata in senso violento»; e a 4 anni Dake Haziraj e Finsik Bekaj; mentre l’allora minorenne M. è già stato condannato anche in appello.
A convincere il giudice, in primo luogo, sono stati i soldi: se di bombe si può parlare - e in quell’appartamento «le intercettazioni danno conto della costante attenzione al tema religioso estremista, all’esistenza dello Stato islamico, alla sua difesa dell’attacco occidentale» - quei contanti inviati in Siria sono per il giudice prove certe: «Il sostegno non meramente ideologico può esplicarsi in vari modi. Tra essi vi è anche quello relativo al finanziamento».
Nei messaggi Facebook, un tale Amir Kurti invitava Babaj: «Fratello....il Jihad non vuole solo uomini sul terreno, ma vuole uomini che aiutino anche finanziariamente». E indicava a chi mandare i soldi. Per il giudice non si tratta di atti caritetevoli, perché «coloro che ne hanno bisogno sono sempre ed esclusivamente legati al terrorismo internazionale, a coloro che hanno sposato quella causa», combattenti dell’Isis e loro familiari. Poco più di 1500 euro donati da Babaj, che si è difeso spiegando che si trattava di elemosine. Un migliaio da Bekaj. Per il giudice, «Condotte che denotano la loro partecipazione all’associazione terroristica denominata Isis».Poi la continua ricerca su internet di video violenti, l’inneggiare al martirio, l’allenamento fisico in vista dei combattimenti. L’acquisto di un coltello.
«Una sentenza vuota, che basa tutto su poche centinaia di euro di quelli che non solo aiuti all’Isis , ma elemosine secondo i precetti dell’Islam», commenta l’avvocato Vincenzo Platì, legale di Babaj, che annuncia ricorso in Appello, «una sentenza che ricollega l’appartenenza all’Isis a video come ce ne sono migliaia in rete o ad allenamenti in palestra. Assurdo».
Parola ai giudici di Appello, quindi, che hanno già confermato la condanna del minorenne del gruppo. —
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