Assalto a Venezia: vent’anni fa i serenissimi sfidarono lo Stato

VENEZIA. «Volevano rovesciare lo Stato mangiando pane e salame in cima al campanile di San Marco. Bastava che lo Stato aspettasse che finissero le vettovaglie e finiva anche la sovversione».
Parole di Indro Montanelli che, tra i pochi, capisce il reale peso dell’azione degli otto Serenissimi che, a bordo di un Tanko fatto in casa, danno l’assalto a Venezia nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1997. Vent’anni fa.
Ma lo Stato ha paura: sono gli anni duri della secessione leghista, Umberto Bossi parla di trecentomila persone armate nella Bergamasca pronte a combattere al suo ordine e i telegiornali della Rai vengono oscurati, un giorno sì e uno no, da una voce che invita i veneti alla ribellione contro lo Stato “marcio e corrotto”.
E così, quando l’americana Cnn apre il telegiornale con il titolo “Attacco a Venezia” con sullo sfondo il tanko che scorrazza liberamente per piazza San Marco, lo Stato mostra il suo sguardo più feroce. Vengono fatti arrivare da Livorno venticinque uomini del Gis dei carabinieri.
Sbarcano alle 5.30 di mattina all’aeroporto di Tessera, mentre piazza San Marco viene fatta evacuare. Nessuno ha ancora idea di chi possano essere gli otto uomini che, dopo aver sequestrato un Ferry Boat, sono penetrati all’interno del campanile di San Marco, issando la bandiera con il leone marciano.
Il blitz dei reparti speciali scatta alle otto e mezza di mattina e dura poco meno di dieci minuti.
Cinque uomini si arrampicano lungo le torri e, una volta raggiunta la cima, entrano. Contemporaneamente un altro gruppo abbatte con un’ascia il portone d’ingresso, mentre una terza squadra sale sul tetto del Range Rover che la porta a livello della Loggetta del Sansovino, dalla quale raggiunge l’unica finestra non protetta dalle inferriate. In otto minuti il campanile viene liberato e i Serenissimi, che l’hanno occupato per sette ore, arrestati.
Alle 8.45 è tutto finito e piazza San Marco torna a ripopolarsi di turisti.
Gli apparati dello Stato però scoprono di essere stati tenuti sotto scacco non da pericolosi terroristi, ma da gente normale: un elettrotecnico, due artigiani, due ragazzi.
I loro nomi sono Gilberto Buson, Cristian e Flavio Contin, Antonio Barison, Luca Peroni, Moreno Menini, Fausto Faccia, Andrea Viviani. Avevano tutti l’ordine di resistere all’interno del campanile fino all’arrivo della persona che avrebbe dovuto trattare con i rappresentanti dello Stato italiano: “l’ambasciatore” Giuseppe Segato.
Ha scritto Paolo Rumiz: «Il serenissimo messaggio, beffardo e leggero come le bollicine del Cartizze e l’euforia di una scampagnata, planetario come la notorietà di piazza San Marco, era stato sentito da tutti in modo chiaro e forte. Diceva inequivocabilmente: signori, la nazione è fragile, è stata gabbata. Dunque – ecco la bomba – la secessione è possibile».
E così sui Serenissimi si rovesciano accuse pesantissime: resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio, occupazione del suolo pubblico, danneggiamento del campanile, detenzione e porto abusivo di arma e sequestro di persona, tutto con finalità di terrorismo.
L’opinione pubblica si spacca: in primis la Lega Nord, che inizialmente parla di “brigata mona” e poi organizza manifestazioni di solidarietà fuori dal tribunale di Mestre. Al detenuto Segato la Liga offre, inutilmente, una candidatura modello Toni Negri per farlo uscire dal carcere.
L’ideologo Luigi Faccia, condannato in via definitiva a più di 4 anni, viene più volte accostato ad Adriano Sofri nel dibattito sulla grazia.
Nell’aprile 2014 si è poi tornati a parlare di venetisti, quando il Ros dei carabinieri arresta nuovamente anche Luigi Faccia e Flavio Contin. Ma il clima nel Paese è ormai definitivamente cambiato e sul loro processo non c’è più l’attenzione di un tempo.
La parola “secessione” è stata ormai spazzata via, anche se il prossimo 28 ottobre, a vent’anni esatti dall’assalto, i veneti andranno a votare a un Referendum sull’autonomia della Regione. Ma di certo non ne parlerà la Cnn.
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