L’Autonomia ha bisogno di un percorso condiviso

Se davvero si crede in questa riforma occorre sottrarla alla logica di guerra e lavorare insieme

Francesco JoriFrancesco Jori
Autonomia differenziata protagonista di un maxi striscione esposto al tradizionale raduno leghista di Pontida
Autonomia differenziata protagonista di un maxi striscione esposto al tradizionale raduno leghista di Pontida

Autonomia, punto e a capo. A lume di semplice buon senso, le ultime vicende di una riforma tra le più tormentate suggerirebbero di resettare l’intero pacchetto, ripartendo da un metodo capovolto: non dividere, ma condividere.

E questo sulla base di un elementare dato di fatto: l’Autonomia ci vuole, ma c’è chi non la vuole, e ha il potere e i mezzi per combatterla. Lo sta facendo non da oggi ma dalla nascita stessa dello Stato unitario, opponendo e imponendo alla via federalista una scelta biecamente centralista; di fatto assecondata da una politica che continua a farne un terreno di scontro tra schieramenti, anziché perseguire una strategia unitaria.

Ha sbagliato la sinistra nel 2001, imponendo in scadenza di legislatura e a colpi di maggioranza una riforma pasticciata della Costituzione, nel suo titolo V, foriera di un estenuante contenzioso tra centro e periferia.

Ha sbagliato la destra nel 2005, facendo passare un’altra riforma, la devolution, con forti resistenze interne alla stessa maggioranza dell’epoca: subendo pochi mesi dopo la bocciatura referendaria.

Sbaglia la Lega oggi, anzi un pezzo di Lega, quella veneta (perché il resto del partito, Salvini in testa, è molto più tiepido), facendo di un tema così strategico una bandierina da piantare a prescindere, finendo per trovarsi sostanzialmente isolata. Come ha sperimentato pochi giorni fa uno dei più autorevoli difensori della riforma, Mario Bertolissi: trovatosi desolatamente da solo a Roma a reggere il confronto in Corte Costituzionale in nome del Veneto, con tutte le altre Regioni assenti; centrodestra in testa, leghiste comprese.

Diciamolo senza giri di parole. La Lega ha cercato e cerca di far passare la “sua” riforma bypassando il Parlamento, e imponendola come merce di scambio in un centrodestra pieno di riserve e dissensi. Già nel novembre scorso la Consulta ha bocciato questa logica: ha cancellato sette punti della proposta di legge, e ha sollecitato la riscrittura di altri cinque; ha spiegato che il Parlamento deve potersi esprimere in maniera compiuta su tutti i passaggi essenziali della riforma; ha chiarito che le intese con le singole Regioni potranno essere emendate dalle Camere, a differenza di quanto previsto dalla legge-quadro; ha bocciato il trasferimento in blocco delle materie, limitandolo a singole funzioni. E sullo sfondo rimane il cardine dei livelli essenziali di prestazioni, su cui la Corte ha chiesto di riscrivere la legge delega.

Al di là delle dichiarazioni di facciata, la Lega sa benissimo quante e quali riserve fermentino negli alleati di centrodestra, e che ricadute possano esserci sui prossimi passaggi parlamentari.

Specularmente, la sinistra sbaglia a incaponirsi sullo scontro frontale, anche qui sventolando bandiere.

Se davvero si crede nell’Autonomia, occorre sottrarla alla logica di guerra: le parti depongano le armi, e lavorino a un terreno condiviso, nell’interesse del Paese e non delle loro casematte.

Quanto al Veneto, si renda conto che andare avanti isolati e a testa bassa, a colpi di proclami, senza ricercare il necessario consenso fuori dai propri confini, comporta un esito inevitabile: andare a sbattere. Come sta facendo sistematicamente dall’unità d’Italia a oggi, senza mai portare a casa un briciolo di risultato. Trasformando l’Autonomia in una fiaba, ma dal finale rovesciato: e vissero per sempre infelici e scontenti.​​​

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