Autonomia differenziata più spedita, se la Consulta boccia

L’amministrativista Falcon: «Resta incardinata nell’articolo 116 della Costituzione a prescindere dal voto. È prerogativa di Governo e Parlamento»

Albino Salmaso

Professor Giandomenico Falcon, il 20 gennaio la Corte costituzionale si pronuncerà sull’ammissibilità del referendum sull’autonomia differenziata. Quali potranno essere le ripercussioni su una riforma attesa da 24 anni?

«Non possiamo azzardare previsioni, ma ragionare su due ipotesi: se la Consulta dovesse bocciare il referendum, la strada dell’approvazione della legge sarebbe più spedita. Se invece verrà ammesso il quesito abrogativo depositato dal comitato promotore, governo e Regioni prima di fare dei passi decisivi è auspicabile attendano l’esito della consultazione elettorale».

C’è chi ritiene che la sentenza 192-2024 della Corte costituzionale che ha drasticamente modificato la legge 86 del ministro Calderoli, renda di fatto inutile il ricorso al referendum. La sfida vera si giocherà quindi in Parlamento, con una nuova legge: lei che ne pensa?

«Chi ha promosso il referendum chiede al corpo elettorale di decidere se è giusto procedere con questo modello di autonomia differenziata negoziata da alcune Regioni. La Corte non ha ancora risposto al quesito, anche se con la sentenza 192 ha ampiamente innovato la legge Calderoli. Il punto da chiarire è che, a prescindere da qualsiasi esito delle urne, l’autonomia resta incardinata nella Costituzione all’articolo 116, dopo la modifica del titolo V approvata nel 2001... Si tratta di un prerogativa che resta nella disponibilità del Governo e del Parlamento, che la possono esercitare con una nuova legge».

Il presidente del Veneto Luca Zaia sostiene che se l’autonomia non verrà approvata con la riforma, arriverà per necessità, come processo ineludibile del federalismo: lei che cosa ne pensa?

«Mi è difficile interpretare il pensiero del presidente Zaia, in questi decenni si sono rafforzati processi di accentramento per migliorare la qualità dei servizi ai cittadini. Nella sanità è fondamentale la gestione statale dei Lea per garantire pari qualità su tutto il territorio nazionale. E qui purtroppo scontiamo gravi ritardi. Non so se la profezia di Zaia sarà destinata ad avverarsi. Ho dei dubbi».

La Corte costituzionale nella sua sentenza ha stabilito che i Lep debbono essere approvati dal Parlamento e non emanati con un Dpcm: cosa cambia nel concreto?

«Questo è il nodo centrale della sentenza della Consulta perché stabilisce un principio fondamentale: quando i diritti sociali si trasferiscono dallo Stato alle Regioni sono fondamentali i Lep. Che vanno garantiti a tutti e per finanziarli non si deve partire dalla spesa storica, ma dai costi standard. In sostanza, si tratta di ricalcolare e ridistribuire le risorse sulla base dei bisogni reali. L’unico modello di riferimento concreto sono i Lea nella sanità, le cui risorse sono fissate ogni anno dalla conferenza Stato-Regioni. E’ chiaro che la legge Calderoli è monca sotto questo profilo. Il ministro dovrà quindi stabilire i principi cardine dei Lea, da sottoporre all’analisi del Parlamento, pienamente coinvolto con potere di emendamento e voto finale».

L’attenzione del Governo è rivolta anche alla riforma del premierato. Quali sono le opportunità e i rischi, a suo modo di vedere, che si profilano con questa svolta nella forma di governo?

«Direi che la strada è ancora lunga. Si dovrà pronunciare prima il Parlamento e poi anche il popolo, con il referendum confermativo previsto dalla Costituzione. Abbiamo visto cos’è cambiato con l’elezione diretta dei presidenti delle Regioni, alcuni dei quali sono diventati protagonisti assoluti della vita politica nazionale. L’altra faccia della medaglia è l’offuscamento del ruolo dei consigli regionali, delle assemblee elettive. Proviamo ad immaginare l’impatto di questo modello a livello nazionale: il Parlamento italiano non può diventare un’istituzione al traino del potere esecutivo». 

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