Baratta: «Biennale Arte accenderà in noi il desiderio di futuro»

VENEZIA. Presidente Paolo Baratta, come stupirete i visitatori di questa 56esima Biennale Arti Visive?
«Sarà una mostra che come le due ultime stimolerà il visitatore sotto molti punti di vista: se quella di Bice Curiger invitava ad osservare oltre il proprio naso con mente dilatata; e la mostra di Gioni ci ha portato attraverso le forze e le ossessioni necessarie agli artisti per creare, quest’esposizione 2015 offre l’arte in relazione alla storia, agli eventi politici e sociali che sollecitano sempre l’artista. Abbiamo scelto Okwui Enwezor per la direzione perché sensibile a questi temi nel mondo: partiamo da quello che la storia ci consegna, frammenti dai quali trarre un orientamento per il futuro o da abbandonare. In un periodo così pieno di fratture sarebbe stata impensabile una Biennale che sfarfalleggia qua e là, ma siamo una mostra d’arte non un convegno: ci sarà da stupirsi, non sarà certo noiosa».
Un percorso ideale tra Giardini e Arsenale? Di performance in performace, verrebbe da dire.
«La Biennale è essa stessa opera d’arte, una costruzione, non è una mostra mercato dove le opere sono lì per sé: il piacere che si potrà trarre da ogni singola opera sarà maggiore se si gode del complesso, se si assiste all’intera sinfonia di Beethoven e non la si spezza in brevi melodie. Comunque, ci saranno momenti straordinari come la lettura integrale de “Das Kapital” - il tentativo di un uomo di dare una logica al tutto e prevedere la storia - o la Creazione di Hayden, performance di Allora e Calzadilla, che porterano un coro all’Arsenale, incontro al visitatore».
Un’esposizione “difficile”?
«Come sempre, ciascuno troverà il linguaggio che gli è più congeniale. Ci sono opere straordinarie che aprono squarci sull’arte contemporanea: alle Corderie, ad esempio, - si passa da una linearità settecentesca a esplosioni di colore che fanno pensare a un periodo di transizione, in un allestimento nuovo che stupirà il visitatore. Ci saranno momenti etici sul lavoro, momenti drammatici sull’impossibilità di parlare, momenti nostalgici sulla natura, performance di arte, suono, danza, movimento, cinema e molti disegni. Il titolo mi piace perché fa riferimento al futuro e la Biennale è una macchina del desiderio: guai non lo facesse. Desiderio di futuro rappresentato da varie voci e diverse forme artistiche, per questo mi piace ancor di più il sottotitolo: “Parlamenti di forme”, perché è una Biennale che fa parlare varie voci e diverse forme artistiche. I ragazzi potranno trovare mille ragioni di interesse e le persone saranno coinvolte anche per strada: ricordo che c’è College Danza a giugno e College Teatro ad agosto».
Cosa ne pensa dei padiglioni nazionali “affittati” ad artisti cinesi e italiani, dal Costarica e del Kenya?
«Passi falsi di chi è nuovo, che non mi scandalizzano, ma che certo mi hanno irritato un po’: dopo la pubblicità al caso, si sono ritirati e questo è importante. Tutto nasce dall’ampliamento della partecipazione: il nucleo storico dei 55 stati aveva regole certe, chiare. Per il futuro, ai nuovi stati chiederemo un riferimento istituzionale certo e curatori di nomina istituzionale».
Una mostra che sarà videofilmata da Google.
«Abbiamo sottoscritto un importante accordo con Google, perché il “catalogo” è diventato un testimone ristretto per raccontare la Biennale. Così sarà costruito un itinerario visivo, un camminare attraverso l’esposizione, che resterà a disposizione di chiunque. Un assaggio ne sarà la mostra dedicata a Harald Szeemann, riscotruita attraverso percorsi visivi all’ingresso di Ca’ Giustinian. Un direttore che amo molto, perché con lui nel 1999 abbiamo aperto la Biennale all’Arsenale. Questo straordinario monumento è stato riportato in questi anni alla vita, dimostrando che i beni culturali non debbono essere restaurati solo per farne un intoccabile cenotafio del passato, come molti vorrebbero, con spirito necrofilo, ma luoghi di vita».
Da un luogo rinato a un’emergenza che sembra senza fine: il “buco” del Palazzo del Cinema.
«Il buco è un grave problema che il Comune dovrà risolvere, appena insediato. In questi anni, noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare per dare alla Mostra le sale tecnologicamente perfette che merita e quest’estate provvederemo a sistemare via Candia, che è brutta, per creare un piacevole raccordo tra le sale. Chiudere il “buco”, purtroppo, non dipende da noi: il festival internazionale del Cinema non è una cosa semplice da organizzare, è l’unico festival autunnale dove il mercato americano viene a promuovere i suoi film. Fare una “festa del cinema” o una mostra di serie B è cosa semplice, fare una Mostra come la nostra no: basta poco perché venga messa in difficoltà. Richiede dedizione e impegno».
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