Beggio, l'autobiografia postuma dell'uomo che creò il mito Aprilia

Le idee, i trionfi, la caduta: l'imprenditore scomparso due anni fa racconta la sua vita alla guida della casa di Noale che conquistò 34 titoli di motociclismo con le imprese di Biaggi, Capirossi, Rossi e Melandri
NOALE. Scrivere di se stessi non è mai facile, neppure se ti chiami Ivano Beggio. “L’ultimo grande pioniere della moto”, così lo definisce il sottotitolo della sua autobiografia postuma, in vendita sul sito ivanobeggio. com, al prezzo di 25 euro (248 pagine arricchite da 250 fotografie, edizioni ZeL, 2000 copie già stampate). Eppure, in questo caso bisogna riconoscere che l’intento è stato coronato da successo, quasi che l’ingegnere, nativo di Rio San Martino, piccola frazione di Scorzè, fondatore dell’Aprilia, avesse programmato tutto con cura: anche la scelta temporale di completare la storia della sua vita giusto due settimane prima di morire il 13 marzo 2018, a 73 anni, colpito da un male spietato, nella splendida Villa Contarini di Asolo, acquistata negli anni ’90 dai padri Armeni. Scrive Claudio Pavanello, fedelissimo addetto-stampa nell’azienda di Noale: «Mancava solo la prefazione, in cui sarebbe stato chiaro nel dire che quella che raccontava era la storia come lui la ricordava. Tanti avvenimenti appartenevano ad un passato ormai remoto, e lui per primo si rendeva conto che avrebbero potuto essere alterati dalla commozione e dall’emozione che gli suscitava ricordare la genesi di Aprilia. Il mio ruolo, di cui sono molto orgoglioso, è stato quello di averlo convinto a raccontare la sua storia, prima su Facebook e, dopo il grande affetto riscosso sui social (5000 fans, ndr ), in un libro».
 
Da sin.: Ivano Beggio, presidente dell'Aprilia, Valentino Rossi e Loris Capirossi posano vicino alla Aprilia RED1000, presentata IL 16 SETTEMBRE 1997. DANIEL DAL ZENNARO/ANSA/DO
Da sin.: Ivano Beggio, presidente dell'Aprilia, Valentino Rossi e Loris Capirossi posano vicino alla Aprilia RED1000, presentata IL 16 SETTEMBRE 1997. DANIEL DAL ZENNARO/ANSA/DO
 
IL RUOLO DELLA MOGLIE TINA
 
Nel marzo 2019, proprio su Facebook, uscì un post del figlio Gianluca, oggi 48enne, in cui si annunciava che la signora Tina (diminutivo di Ernestina), compagna inseparabile per mezzo secolo, era pronta ad esaudire la volontà del marito di rendere pubblico il ricordo personale di un’avventura imprenditoriale davvero straordinaria, chiedendo il contributo di quanti lo avevano conosciuto e frequentato. Ne è uscito un collage di testimonianze di piloti, giornalisti, addetti ai lavori e semplici appassionati (con fotografie storiche) tale da poter concludere che, sì, «questa è la vera, genuina, autobiografia» di Ivano Beggio, da tramandare ai posteri. le origini del mito industriale Parlare di Aprilia significa celebrare uno dei più grandi “miracoli” industriali del Nordest, dove si sono concentrati tutti insieme genio, intuizione, coraggio e lavoro. Sino a sfidare i colossi delle due ruote giapponesi, e batterli, sul loro terreno forte: le corse. La storia inizia un giorno di maggio del 1950 nel Trevigiano, a Badoere, vicino al paesello natio, dove papà Alberto, un passato da buon ciclista dilettante, porta il figlioletto Ivano, di sei anni, ad assistere ad una gara di biciclette. Il bambino resta – parole sue – resta «folgorato» da quello spettacolo: «In quel preciso istante decisi che impegnarmi nello sport, e magari diventare un giorno campione del mondo, sarebbe stato uno dei principali scopi della mia vita». il nome ispirato a un modello lancia Perché il nome Aprilia? Perché il padre, costruttore di bici, ad un certo punto vuole fregiarsi di un vero marchio. Da qui la scelta di Aprilia, come l’omonima auto Lancia del 1937 che tanto lo aveva impressionato per stile e signorilità. Gli affari vanno bene, ma Ivano, unico maschio di quattro figli, ha in testa l’idea fissa di mettere un motore a corredo di quei telai solidi e perfetti, e litiga con il papà, lo vuole convincere a passare dai pedali alle motociclette. Nel 1962 il genitore un po’ lo asseconda, avviando una piccola produzione di motorini 50 cc. Nel 1967, «vincendo tutte le resistenze paterne», arriva al Salone di Milano l’A7 Moto Cross,«la mia prima moto, che in realtà di fuoristradistico non aveva nulla, sembrando più un chopper con sella frangiata e manubrio a corna di bue». È l’inizio di una produzione esaltante, scandita dai successi tra l’80 e il’93: da Amico a Scarabeo, e al Colibrì 50. E qui spunta Tina, padre genovese e mamma padovana di Piombino Dese, amica di una delle sorelle di Ivano, Daniela, con la quale nel 1969 scocca la scintilla che li porterà alle nozze. Di lei il patron scrive: «Si è rivelata senza dubbio la mia migliore collaboratrice e la più saggia consigliera nel lavoro e nella vita».
 
Max Biaggi esulta dopo la vittoria del mondiale superbike 2012
Max Biaggi esulta dopo la vittoria del mondiale superbike 2012
 
LA MORTE DEL PATRIARCA ALBERTO
 
 Alberto, il patriarca della famiglia, muore nel 1973, «meno di due anni dopo la devastante perdita della mamma» , lasciando da solo al timone dell’azienda Ivano, appena 28enne, ma già coinvolto da un quadriennio nella gestione. Gli anni Settanta sono positivi, con Beggio jr. che è un vulcano di idee e progetti: l’azienda va fortissimo con i motorini, eppure la scelta drastica si impone, abbandonare la produzione di biciclette per puntare sulle moto. Ed ecco l’inserimento nel mondo delle corse, con il cross prima e i Gp in pista poi, conquistando milioni di giovani, affascinati da Aprilia e dal tripudio di colori che è da sempre un chiodo fisso dell’ingegnere veneziano. L’intuizione lo porta a sfornare mezzi di forte appeal, comprese le moto “replica”, che otterranno un successo strepitoso perché l’appassionato ha davvero la sensazione di condurre le stesse due ruote dei campioni. La signora Tina ricorda anche l’azzardo, rappresentato dalla Motò, frutto dell’inventiva dell’architetto e designer francese Philippe Starck, compresa poco dal grande pubblico, ma pure la soddisfazione del marito quando si vide proporre dalla Bmw di realizzare la F650, uno dei modelli di maggior successo della casa tedesca. quanti successi iridati Il mercato premia le strategie dell’ingegnere, che, per mantenere fede alla promessa fatta da bambino quel giorno a Badoere, diventare cioè campione del mondo, si tuffa nel mondo delle competizioni con un coraggio e una determinazione impareggiabili. I primi successi nel motocross, con piloti come Ivan Alberghetti e Corrado Maddii, lasciano spazio all’intuizione, nel 1982, di puntare sulle moto stradali. Con Loris Reggiani, nel 1987, trionfa per la prima volta nel Gp di Misano Adriatico, dimostrando di avere visto giusto: è Aprilia a dettare legge nelle 125 e nelle 250, e a Noale vengono chiamati, e messi sotto contratto, i più forti campioni del periodo, da Biaggi a Capirossi, da Rossi a Melandri, che regalano titoli iridati in serie (alla fine saranno 54). Aprilia sforna moto in grado di andare all’assalto dei mercati europei, conquistando quote impensabili. La concorrenza è tosta per i giapponesi, incontrastati primattori sin lì. Aneddoto raccontato sempre dalla moglie Tina: «Dagli esperti della Bocconi, che lui teneva in molta considerazione, fu consigliato di vendere tutto e investire in altri settori, perché secondo loro con i giapponesi non si poteva competere. Ivano si interessò agli occhiali e ai mobili per ufficio, ma il suo mondo era lì, a Noale, con le moto». Tant’è che, insieme a Honda, Aprilia è stata l’unica a partecipare ai 4 Campionati di velocità in pista: 125, 250, 500 e Superbike.
 
Max Biaggi (s) e Ivano Beggio nello stand di Aprilia alla 54/a esposizione internazionale del Motociclo a Milano, il 21 novembre 1995. ANSA/ FERRARO
Max Biaggi (s) e Ivano Beggio nello stand di Aprilia alla 54/a esposizione internazionale del Motociclo a Milano, il 21 novembre 1995. ANSA/ FERRARO
 
LA MALATTIA E SAI SABA
 
Tutto bene? No, perché dopo qualche anno a Beggio viene diagnosticata una grave malattia, che lo costringe a lasciare l’azienda. È l’epoca dell’incontro in India con Sai Saba, il predicatore che sosteneva come l’uomo sia essenzialmente divino e che quindi debba impegnarsi a riscoprire la propria natura divina. Un incontro che gli cambierà il resto dell’esistenza, a sentire la moglie. Tornato in Aprilia, dove i risultati economici sono sempre molto buoni, decide di acquistare Moto Guzzi: «Per me», racconta nell’autobiografia «era “la Moto”, e desideravo essere il principe azzurro che l’avrebbe riportata ai grandi fasti del passato”. Purtroppo, il mercato degli scooter crolla, e le previsioni dei manager dell’azienda sulla positività dell’operazione si rivelano clamorosamente errate (la moglie era decisamente contraria).
 
LA CESSIONE A COLANINNO
 
Con il passare dei mesi, le cose peggiorano, le nubi si addensano sopra la testa dell’ingegnere e le banche chiudono i rubinetti del credito. «Mai», rivelerà nel capitolo del libro dedicato alla crisi «avrei pensato di compiere un balzo talmente vertiginoso, da imprenditore modello a questuante cui venivano chiuse in faccia tutte le porte. Fu un momento di grande crisi personale, di insicurezza, di sofferenza, di vergogna verso i miei stessi dipendenti». 
 
A SANTIAGO DI COMPOSTELA
 
A quel punto la resa: ad aprile 2004 Beggio cede Aprilia al gruppo Piaggio di Roberto Colaninno e si ritira a vita privata. Va in pellegrinaggio al santuario di Santiago de Compostela, 800 chilometri a piedi coperti da solo, e – racconta sempre l’amata consorte – torna con 10 chili in meno «ma una luce negli occhi nuova, frutto di un’esperienza meravigliosa, che lo aveva rigenerato sia spiritualmente che fisicamente». La storia di un grande, a cui è rimasto un forte rimpianto: il mancato accordo con la Ducati. Che avrebbe potuto cambiare sicuramente i destini dell’azienda di Noale.

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