Berti: «Chi non versa i soldi al M5s è fuori. Paragone protesta? Legga il codice etico»

PADOVA. Quando a Roma tra i grillini soffia il vento di rivolta contro Di Maio, da Venezia si muove il “doge” Jacopo Berti, un giovane manager padovano maestro di sci a Cortina, con il piglio aristocratico, il sorriso e la battuta smagliante alla De Sica, che ai microfoni di radio e tv ammette con candore: «Sì, sono io che ho espulso il senatore Gianluigi Paragone. Ho dovuto applicare il regolamento e il codice etico che sono chiarissimi. C’è scritto che un parlamentare del M5S non può votare contro il governo con i ministri del Ms5. Paragone ha votato due volte contro la fiducia al premier Conte. Si è messo fuori automaticamente. Non è colpa mia se lui non rispetta le regole. La questione è semplicissima: si è applicato il regolamento in maniera omogenea e oggettiva. Paragone dice che io sono il nulla? Mi sento molto leggero, prendo cognizione di questo mio nulla e sorrido» aggiunge Berti.
Il capogruppo del M5s in consiglio regionale del Veneto, autentica spina nel fianco del governatore Zaia, quando sbarca a Montecitorio è guardato con timore dai 330 parlamentari eletti il 4 marzo 2018. Un esercito che va guidato. Grillo e Casaleggio gli hanno affidato il ruolo del Torquemada e lui si è caricato la croce sulle spalle con assoluta serenità: è il presidente del collegio dei probiviri assieme a Raffaella Andreola, consigliere comunale a Villorba nel Trevigiano, e al ministro per la Pa, Fabiana Dadone. Prima di lui in quel ruolo delicatissimo c’era Nunzia Catalfo, che ha lasciato l’incarico per la poltrona di ministro del Lavoro, su chiamata diretta del leader Di Maio, per tenere alta la bandiera del reddito di cittadinanza. Quando verrà il turno di Berti nella squadra di Palazzo Chigi?
Lui non parla del suo lavoro di “inquisitore”, ma sulla pagina Facebook ha spiegato cosa sta facendo a Roma in queste giornate segnate dagli attacchi di Dibattista a Di Maio, dopo l’espulsione del “filoleghista” Paragone. Tocca a lui tenere dritta la barra del timone nei momenti di tempesta. La regola numero 1 riguarda i versamenti al partito: chi si “dimentica” viene prima richiamato, poi sospeso e infine espulso. Sul sito “tirendiconto.it” c’è la fotografia esatta, il 90% è in regola fino all’ultimo euro e a rischiare l’espulsione sono 15-20 parlamentari: alcuni sono già approdati al Gruppo Misto come l’ex ministro Lorenzo Fioramonti, gli altri lo seguiranno appena arriverà la sentenza.
«La differenza tra il Movimento 5 Stelle e gli altri è che per noi gli impegni presi vengono prima di tutto. E quello di restituire i soldi ai cittadini è più importante degli equilibri politici del governo. Noi le regole le rispettiamo. E chi non lo fa, è fuori», scrive Berti. A che punto siamo con il “tesoretto”? Dal 2013 al 2018 sono stati raccolti 100 milioni nel fondo per il microcredito aperto al Mef, girati ai terremotati, alle scuole e alle imprese. Un’autentica rivoluzione nei costumi della politica, in sintonia con il taglio dei vitalizi e la scure sui parlamentari, che da 945 diventeranno 600. Nell’ultima legislatura, dopo un voto sulla piattaforma Rousseau, si è deciso che i fondi venissero raccolti su un conto intermedio intestato ai capigruppo di Camera e Senato e al capo politico Di Maio, ma per placare la rivolta i 13 milioni già versati saranno trasferiti con un bonifico a un notaio. Fine delle polemiche?
Pare di no. Perché sia Paragone che Fioramonti gridano alla “repressione del dissenso” e a sentire l’ accusa Jacopo Berti diventa davvero un Torquemada. «Non abbiamo mai chiuso la bocca a nessuno, non è la caccia al dissenso, la dialettica politica è nel dna del Movimento, ma una regola dev’essere chiara: il M5s non interpreta le leggi per assolvere gli amici e le applica con severità per punire i nemici interni. No, non è così: chi non ha versato la quota di stipendio sa che rischia l’espulsione, ha già un piede fuori ma può mettersi in regola».
Il pericolo da evitare è l’anarchia. Che Grillo e Casaleggio vedono come l’anticamera del caos, la fine del sogno che ha portato in un decennio un gruppo di amici del Blog delle Stelle a scalare i palazzi del potere a Roma, fino alla conquista di Palazzo Chigi. Le sorti del governo Conte 2 sono nelle mani di Berti? Tranquilli. «Non ci sarà nessun ribaltone». —
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