Business delle rotaie con la ’ndrangheta: così Semenzato ha cambiato le carte

TORINO. Venerdì scorso, i fornitori di una delle aziende impegnate nei lavori della metro di Torino hanno ricevuto la seguente comunicazione: «Si rende noto (...) che la scrivente Se.Ge.Co. srl ha preso in affitto il ramo d’azienda della Segeco srl nel quale rientrano anche i lavori in oggetto». La ragione dello scambio tra le due Segeco non è scritta nella lettera: si chiama ’ndrangheta.
La Segeco srl è una società veneziana che esiste dal 1929 ed è specializzata nei lavori ferroviari. La sua sede è in via dei Cappuccini a Mestre. Ha più di cento dipendenti e appalti in essere per quasi 700 milioni di euro sulla rete ferroviaria e sulle metropolitane di tutta Italia. Il suo direttore tecnico, nonché amministratore di fatto, nonché principale azionista è Federico Semenzato.
Da marzo scorso è in carcere in regime di alta sicurezza per riciclaggio e le sue quote societarie sotto sequestro. Secondo la procura di Venezia con le sue imprese, Segeco compresa, faceva da «cartiera» per una cosca della ’ndrangheta crotonese, i Grande Aracri.
Anche la Se.Ge.Co. ha sede a Mestre, allo stesso indirizzo, e nella carta intestata c’è scritto «Railway company since 1929». Invece è stata fondata nel 2014 e fino al luglio dello scorso anno, quando prende in affitto il ramo d’azienda della lettera, è poco più di una scatola vuota con zero dipendenti e poche migliaia di euro di fatturato.
Il «ramo d’azienda» preso in affitto è in realtà non una parte ma tutta la vecchia Segeco. I 105 dipendenti, i contratti e i fornitori. E tutti gli appalti per lavori pubblici. Oltre al subappalto per la metro di Torino (la tratta Lingotto Bengasi, 3,5 milioni il valore della commessa per Segeco) la società partecipa ai lavori della Linea 5 di Milano per conto di Alstom e alla Metro C di Roma. Fa parte dei consorzi per la realizzazione e la manutenzione dell’interconnessione Brescia Ovest della linea ad Alta velocità Milano Venezia, il raddoppio della Palermo Messina, la manutenzione della stazione di Bologna centrale.
La commessa principale riguarda la manutenzione dell’armamento ferroviario (massicciata, rotaie e traversine) dell’intero lotto Nord Est per conto di Rfi tra il 2018 e il 2020. Da solo, questo appalto vale 347,9 milioni di euro.
Tutto questo finisce a luglio dello scorso anno alla Se.Ge.Co. Che non è di Federico Semenzato ma dei suoi fratelli. Il contratto di affitto, visionato da La Stampa e dal nostro giornale, prevede che la nuova Se.Ge.Co. paghi 150mila euro l’anno per l’affitto. Prima nella Se.Ge.Co. c’era anche Federico come amministratore e azionista diretto e indiretto.
Poi è arrivata la procura di Venezia. «Associazione a delinquere finalizzata ad emettere fatture false per operazioni inesistenti e di riciclaggio di capitali mafiosi favorendo in tal modo la ‘ndrangheta incardinata in Calabria con proiezioni in Emilia Romagna, che fa capo a Nicola Grande Aracri, ponendo in essere numerosi trasferimenti bancari a catena supportati da rapporti economici simulati».
Sono queste le accuse che la Dda di Venezia contesta – tra gli altri- a Semenzato. I reati ipotizzati dai magistrati nell’inchiesta divenuta pubblica nel marzo scorso sono corredati dall’aggravante mafiosa, datati fin dal 2012 (e fino al 2013) e vedono la Segeco tra le ditte «messe a disposizione da Semenzato» per riciclare e produrre false fatturazioni a – e da - ditte riconducibili ai clan.
Tra le cosche calabresi, i Crotonesi sono i più abili a penetrare nel tessuto economico anche ad alto livello. Non badano molto ai riti ancestrali e alle formule arcaiche della ‘ndrangheta: «Queste tarantelle - dice un imputato della cosca di Torino in un vecchio processo - lasciamole ai riggitani (quelli di Reggio Calabria, ndr.)».
Meglio i soldi, il cash che per riciclaggio necessita della connivenza di imprenditori, magari del Nord, disposti a non farsi troppe domande. Cosi, è l’ ipotesi d’accusa, avrebbe fatto Semenzato, per tutti «il geometra» nelle intercettazioni.
«Le aggravanti mafiose contestate- spiega il suo legale Loris Tosi - ci sembrano abnormi. Dalle intercettazioni si evince come lui non fosse minimamente consapevole dell’esistenza di soggetti della ‘ndrangheta. I suoi fratelli che hanno rilevato il ramo d’azienda erano all’oscuro delle vicende contestate e il loro pensiero adesso è quello di salvaguardare il capitale occupazionale della ditta, i suoi dipendenti e i tanti incarichi ricevuti».
Grazie all’operazione condotta lo scorso anno la Segeco e la Se.Ge.Co. hanno evitato la decadenza di una serie di appalti per le norme che dovrebbero prevenire le infiltrazioni delle cosche della criminalità organizzata. Un tempismo notevole, che secondo l’avvocato di Semenzato è frutto del caso. Nel marzo del 2018 però il nome di Federico Semenzato era già apparso in una indagine della Guardia di finanza, anche in questo caso per una storia di false fatturazioni e società utilizzate come “cartiere”.
La comunicazione del passaggio tra le due Segeco arriva invece solo la settimana scorsa, dieci mesi dopo l’affitto. Quando qualcuno ha iniziato a chiedersi come facesse una società in odore di ’ndrangheta, con quote societarie sotto sequestro e il «dominus» in carcere, a lavorare nei cantieri di tutta Italia.
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