Cacciari: «L’autonomia non è federalismo, aumenta il divario e l’Italia si spacca»

L'ex sindaco di Venezia: manca un progetto condiviso di riforme. Veneto, Lombardia ed Emilia vogliono solo più soldi
02 Aug 2013, Assisi, Italy --- Conference with Massimo Cacciara and Friar Alessandro for the Solemnity of the Pardon of Assisi. Pictured: Massimo Cacciari --- Image by © Andrea Cova/Splash News/Corbis
02 Aug 2013, Assisi, Italy --- Conference with Massimo Cacciara and Friar Alessandro for the Solemnity of the Pardon of Assisi. Pictured: Massimo Cacciari --- Image by © Andrea Cova/Splash News/Corbis

PADOVA.

Massimo Cacciari, filosofo, ex sindaco di Venezia, ex europarlamentare, è stato il leader del movimento dei sindaci del Nordest che ha portato alla riforma del titolo V della Costituzione nel 2001.

Professor Cacciari, cosa ne pensa lei dell’autonomia chiesta dalle Regioni?

«Siamo alle solite. Si affrontano con interventi spot questioni che invece hanno un rilievo strategico. Mancano le riforme di sistema: federalismo voleva dire rivedere l’assetto di tutte le regioni per cambiare il rapporto tra le 5 a statuto speciale e le 15 a statuto ordinario. Andavano create delle macroaree per introdurre una dimensione simil-statale, cosa che oggi vale solo in parte per la Lombardia. Poi ci voleva il Senato delle regioni per dibattere e dirimere le questioni tra l’amministrazione centrale e gli enti locali. Anch’io ho condiviso il disegno federalista sostenuto da tante persone e dal professor Miglio della Lega. Questo ragionamento serio è stato affossato negli anni Novanta e i presidenti di regione oggi cercano solo di portare a casa un po’ di soldi. Il senso della manovra è quello di mettere le mani sul residuo fiscale, al di là di ogni principio di solidarietà: stanno giocando a sfasciare ciò che resta del Paese».

Il residuo fiscale resta sacro, ma hanno aperto la breccia con il prelievo del gettito Irpef e Iva: è questo che lei teme?

«Non faccio altro che constatare i fatti. Ogni ipotesi federalistica vera è finita ed è rimasto in piedi solo il residuo fiscale, che ognuno calcola come vuole. Un grande problema, su cui Ricolfi ha scritto analisi definitive, che non può essere affrontato solo sotto il profilo monetario perché altrimenti si sfascia il Paese. Bisogna prima procedere con le riforme di sistema. Una buona base di partenza può essere la riforma dei fabbisogni e dei costi standard, introdotti dal centrodestra nel 2008-9 e poi ripresi da Renzi. Vanno applicati in primis alla sanità, visto che l’80% del bilancio di ogni regione riguarda la spesa sanitaria. Non è possibile che una siringa a Palermo costi dieci volte di più rispetto al Veneto e alla Lombardia».

La trattativa sull’autonomia cos’è, quindi?

«Non è federalismo. Significa solo che le regioni vogliono più soldi. E ciò renderà drammatica la spaccatura tra Nord e Sud, con i populisti che dilagheranno al Mezzogiorno con le offerte di assistenzialismo».

Il processo va fermato?

«È difficile fermare un processo se non c’è un’alternativa federalista seria all’orizzonte. Andrà avanti per forza. Poi comincerà un conflitto totale alla conferenza Stato-Regioni, con il Sud che reclamerà l’equivalente dell’autonomia incassata dal Nord. E il debito pubblico finirà alle stelle, fino a quando i mercati interverranno e ci manderanno a Patrasso».

La Lega continua a tenere alta la bandiera del federalismo, almeno a parole.

«La Lega oggi è un partito di perfetta destra europea, come ce ne sono altri in Austria, Francia e Germania. Non è un male. Difficile avere nostalgia delle sacre ampolle del Po, quella di Bossi era una Lega residua e patetica. Salvini è riuscito con abilità davvero straordinaria a creare una forza di destra di stampo europeo. La sua fortuna è legata anche alla follia autodistruttiva del centrosinistra».

Professor Cacciari, cosa ne pensa di Luigi Di Maio, convertito d’amblet all’autonomia del Nord: è il calice amaro che deve bere come contropartita del reddito di cittadinanza?

«Salvini e Di Maio sono costretti a stare insieme al governo fino alle europee di maggio, poi si vedrà. Hanno scritto un patto in cui c’era di tutto. I cavoli e la marmellata. Di Maio ha inserito il reddito di cittadinanza, Salvini la sicurezza e gli immigrati da lasciare annegare nel Mediterraneo. Le contraddizioni prima o poi esploderanno, non sono d’accordo su nulla. I 5 stelle hanno un po’ di vetero-comunismo, Salvini un po’ di vetero-berlusconismo, ma sono stati votati. Speriamo che gli italiani aprano gli occhi».

La trattativa sull’autonomia è stata avviata dal sottosegretario Bressa, padre dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione: il Pd ha aperto la strada, anche se il traguardo lo tagliano la Lega e il M5S.

«Certo, si poteva fare la riforma federalista dello Stato, forse sarà l’Europa a imporla. Ma bisognava indicare un percorso, un obiettivo condiviso e comune per tenere unita l’Italia. Oggi ai governatori di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna interessa solo una cosa: mettere le mani su una parte del malloppo, che è il residuo fiscale. Una montagna di miliardi».

Chi vincerà il braccio di ferro Lega-M5S?

«Alla fine vincerà la Lega. Anche se Di Maio farà di tutto per restare ancorato al treno del governo. Non può perderlo. È messo peggio di Renzi. E’ tutta gente che ha vinto il biglietto della lotteria. L’unico che ha una struttura vera è Salvini. Non esiste solo sul web perché sta strutturando il partito anche al Mezzogiorno e si colloca in un’area politica tradizionale di destra, che in Europa c’è sempre stata. Con gli aspetti nazionalisti e xenofobi classici della destra, quella vera. Deve fare però attenzione, perché in Europa si troverà come principali avversari gli attuali suoi alleati. Orban e Marine Le Pen faranno la pelle all’Italia piena di debiti, se dovesse mai iniziare la guerra fra staterelli con la dissoluzione dell’euro. Speriamo di no. Forse l’ha capito anche Salvini che si sta dimostrando il meno antieuropeista tra i partiti populisti».

A maggio possono cambiare gli equilibri dell’Ue?

«Il pericolo è reale. Dipende da quale proposta riusciranno a mettere in campo le forze socialdemocratiche, cattolico-popolari e cristiano-popolari. Se sapranno reagire possiamo ancora salvarci la pelle. Nel caso contrario, il centrodestra e i partiti populisti non avranno un’affermazione maggioritaria ma costringeranno la Cdu della Merkel o la sua erede ad allearsi con loro: verrà meno la grande coalizione socialdemocratico-popolare che fino ad oggi ha retto l’Europa». —


 

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