Camorra barese in Veneto, ecco i nomi degli arrestati

Le intercettazioni dell’inchiesta della Dda di Venezia. Traffico di droga con la Puglia ed estorsioni, è Maggio il personaggio chiave

VERONA. «Io appartengo alla famiglia degli “strascina coperte”. Io comando qui a Verona... Due sono le mie soluzioni: o fai quello che ti dico io, o farai la fine di tutti i paesani tuoi che ho fatto chiudere e li ho spediti altrove perché qua si fa come dico io. L’altra soluzione è che se mi andrai a denunciare, poi ne pagherai le conseguenze». Il diktat di Antonio Maggio non ammetteva interpretazioni, come ha riferito uno dei meccanici vittima delle estorsioni. È lui, 40 anni, barese trapiantato a Verona e per questo chiamato “Tonio di Verona”, il personaggio chiave dell’inchiesta della Dda di Venezia che ha portato a disarticolare un gruppo capace di garantire i rifornimenti settimanali di cocaina e marijuana sull’asse Bari-Verona. È la prima volta che la camorra barese viene individuata nel Nord Italia. Maggio, affiliato al clan barese Di Cosola, è da giovedì in carcere a Bologna, nella sezione di alta sicurezza, con l’accusa di associazione mafiosa finalizzata al narcotraffico e alle estorsioni.

In cella per narcotraffico sono finiti anche Pasquale Allegrini (1976), Emanuele Angiuli detto “Mozzarella” (1976), Nicola Capriati detto “Pagnotta” o “Colin” (1978), Andrea Castriotta detto “Il lungo” (1983), Giuseppe Ladisa detto “Il cinese” (1974), Nicola Lorusso (1980), Andrea Pinto detto “Il biondo” o “Il rosso” (1993), Marcello Rombaldoni detto “Il professore” o “Il maestro” (1984), Francesco Sciacqua detto “Il pelato” (1973)e Donatella Spedo (1977). Ai domiciliari, invece, Eutemia Maggio detta Mina (1982), Teresa Partipilo (1979), Sandro Piano (1970), Nicola Pistininzi (1975), Maria Ilaria Rizzi (1994), Monica Schino (1978), Elisa Valbusa (1977) e Saverio Zotti detto Verio (1983).

Per ricostruire la figura di Maggio, scrive la gip Maria Luisa Materia nell’ordinanza che sono state fondamentali le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. La droga arrivava attraverso corrieri che viaggiavano in bus o dentro a pacchi recapitati da spedizionieri ignari (uno di quelli citati nell’ordinanza ha sede a Padova) a meccanici anche loro inconsapevoli, che venivano stretti nella morsa estorsiva di Maggio. Tanto che ad uno di questi era stato intimato di assumere il boss nella sua officina, così da fargli ottenere gli arresti domiciliari dopo che era stato arrestato per droga (e poi condannato a 4 anni e 4 mesi). Maggio si presentava dagli artigiani, anche assieme a quelli che chiamava «i miei ragazzi», e pretendeva riparazioni gratis nell’ottica di intimidire e poi costringere a ritirare i pacchi con la droga. Anche quando il boss era dietro le sbarre, i suoi familiari portavano i messaggi alle vittime. La gip evidenzia «il controllo stringente» sulle vittime che si dovevano «piegare al suo volere, anche a costo di mettere a rischio la propria attività». La droga che Maggio acquistava in Puglia veniva piazzata nel Veronese «attraverso una propria rete di rivenditori». Con i fornitori il linguaggio è criptico. Si parla infatti di «far salire le patate». La droga viaggiava nei pacchi assieme a ricambi per auto. E se c’era qualche dubbio sulla qualità della marijuana lo si comunicava in codice: «Non sono sicuro di questo stereo non ce profum ti sapro dire entro domani». Le capacità di Maggio nell’importazione di droga sono per la gip «imprenditoriali». Saputo di un imminente controllo dell’Arma, il boss ordina alla moglie Donatella Spedo di buttare la droga nel water. Il bilancino, invece, di nasconderlo tra i giocattoli. —


 

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