Campanilismi, corridoi, progetti fermi: da anni il Veneto perde la coincidenza
Il treno deragliato. Sul versante binario delle infrastrutture, e in particolare per quella che era nata come alta velocità e poi è stata derubricata ad alta capacità, Padova è rimasta l’ultima, dopo essere stata la prima.
Per dire il vero, il progetto complessivo parla più di alta incapacità: rientra nella parte italiana dei grandi corridoi europei, e in particolare quello previsto tra Lisbona e Kiev; sulla carta, attraversa l’intera pianura padana, entrando da Torino e uscendo a Trieste. Quella carta è abbondantemente ingiallita: i primi passi risalgono addirittura all’inizio degli anni Novanta; oggi, trent’anni dopo, la linea esiste solo fino alle porte del Veneto.
Progetti e finanziamenti ne prevedono la prosecuzione fino a Vicenza; a Padova, il ritardo è di rigore. Il paradosso è che la città fu la prima a inaugurare il cantiere dell’opera in Veneto: accadde nel 2007, dando vita ai 29 chilometri che la collegano con Mestre, destinati ai treni veloci. Che peraltro non ci sono mai passati: prima e dopo quel moncherino di ferro, il vuoto totale.
L’aggancio con i provvidenziali fondi europei è stato perso, per il banalissimo motivo che manca il progetto, e senza quello Bruxelles giustamente non scuce un quattrino. Lo si farà, e pare che siano anche stati trovati i fondi per i cantieri; ma passeranno altri anni, almeno fino al 2028, in cui Padova rimarrà tagliata fuori.
Su questi ritardi pesano i più deleteri campanilismi veneti, perché i litigi su tracciati e fermate si sono sprecati, paralizzando tutto. Quello delle soste, in particolare, è un nervo scoperto: ciascuno vuole la sua, ma che senso ha parlare di alta velocità se ogni trentina di chilometri il treno si deve fermare? Questione di vecchia data e non limitata alla Tav, oltretutto: quando, anni fa, le Ferrovie dello Stato meditarono di far saltare ai Frecciarossa la fermata di Rovigo nel collegamento con Roma, in Polesine scoppiò una mezza insurrezione.
E qui entra in campo l’ennesimo rilancio padovano: che sollecita la realizzazione di una linea ad alta velocità con Bologna; peraltro di realizzabilità ancora più precaria. Parliamo di uno dei più vecchi collegamenti d’Italia, che per la parte emiliana risale al 1862, mentre la Padova-Rovigo risale al 1866. E’ una tratta su cui hanno pesato gli eventi bellici, essendo strategica quando il nemico (Austria-Ungheria) veniva da est. Oggi è oggettivamente inadeguata, ma le prospettive di promuoverla a Tav rimangono estremamente remote, visti i chiari (anzi gli scuri) di luna.
Rimane infine un colossale buco nero verso est, in particolare il raccordo con l’aeroporto Marco Polo di Tessera, il terzo in Italia per volumi di traffico, oltretutto in forte espansione; ma anche uno dei pochi, se non l’unico, che non disponga di un collegamento ferroviario con l’entroterra.
È un vincolo che grava in particolare sull’area padovana, inclusa la zona termale di Abano-Montegrotto, la più grande d’Europa. Finora, chi vuole raggiungere l’aerostazione deve arrangiarsi in proprio, con l’auto privata o servizi specifici di taxi; ci sono anche alcune linee di autobus, ma soprattutto da Mestre, mentre da Padova le disponibilità rimangono precarie. Qui ci sono solenni impegni di realizzare il raccordo; ma intanto si arranca.
Molte di queste problematiche avrebbero potuto essere brillantemente risolte se a suo tempo si fosse dato vita a uno dei progetti veneti più innovativi, il cosiddetto SFMR, Servizio Ferroviario Metropolitano Regionale, su cui grava una lunga quanto triste storia, iniziata addirittura nel secolo scorso.
Annunciato in pompa magna nel 1988, l’anno dopo il progetto entra nel piano veneto dei trasporti; ma quarant’anni dopo viene accompagnato a pietosa sepoltura, senza che mai abbia circolato un solo convoglio, con la più classica delle motivazioni: non ci sono schèi. Eppure il disegno era davvero strategico: una rete di un migliaio di chilometri estesa al Veneto centrale, con diramazioni a nord e sud (oltre che per l’aeroporto di Venezia), e treni ad elevata frequenza con orario cadenzato.
Sarebbe stata la soluzione ideale per drenare massicce quote di traffico dall’asfalto, e per fare da tessuto connettivo con le linee ferroviarie principali, a partire da quelle dell’alta velocità. Ma di rinvio in rinvio si è persa l’occasione, col classico conto della serva: quanto sono costati e costano gli intasamenti e gli incidenti sulla rete stradale dovuti a un sovraccarico sempre più gravoso, per non parlare dell’inquinamento?
Un’ultima mesta annotazione per la piccola linea ferroviaria della Valsugana, col tratto Padova-Bassano inaugurato nel 1877. Dall’inizio degli anni Duemila la Provincia di Trento ha modernizzato la propria tratta, inserendola nel proprio sistema ferroviario suburbano. In Veneto, tutto tace: condannato al fine-corsa.
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