La Cgil in Veneto denuncia: «La riforma del Codice degli appalti mette a rischio le tutele dei lavoratori»
Conferenza stampa a Mestre. Maurizio Ferron: «No alle modifiche proposte dal governo.
Comprometteranno trasparenza, legalità ma soprattutto i diritti»
Concreto pericolo di riduzione delle tutele e diritti dei lavoratori nei cantieri, nelle scuole, negli uffici e negli ospedali. È quello che sta rischiando il settore degli appalti, che nella nostra regione impiega 87mila lavoratori (1.140.000 in Italia), per lo più donne.
La Cgil del Veneto critica le proposte avanzate dal governo per modificare il Codice degli appalti pubblici del marzo 2023 (D. Lgs. 36/2023). Se ne discute in questi giorni in Parlamento e si teme un ulteriore abbassamento delle tutele su trasparenza, legalità e sicurezza.
Nel 2023 in Veneto sono stati sottoscritti 20.219 contratti (tra lavori, servizi e forniture), dato in crescita del 10% rispetto al 2022, per una spesa complessiva annua di circa 15, 8 miliardi (6, 96 miliardi in Lavori, 5, 18 in Servizi e 3, 63 in Forniture). «Oltre a favorire ulteriormente affidamenti diretti e senza gara, ampliare il ricorso ai subappalti, abrogare il rating di legalità – dichiara Maurizio Ferron, segreteria regionale Cgil Veneto – con le nuove norme verrà meno la corretta applicazione dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro firmati dalle organizzazioni realmente rappresentative, favorendo dumping e concorrenza sleale, presenza di “contratti pirata” e riduzione dei salari e delle tutele in materia di salute e sicurezza».
Il governo propone di modificare le attuali norme che prevedono l’applicazione dello specifico contratto nazionale e territoriale relativo all’attività oggetto dell’appalto. «Se passasse la nuova norma, si potranno applicare Ccnl con meno tutele e salari più bassi, in base alla dimensione o alla natura giuridica dell’impresa o ancora – aggiunge Ferron – si potranno applicare contratti diversi da quelli indicati dalla stazione appaltante anche se peggiorativi su molti istituti normativi (orario di lavoro, ferie, malattia, straordinari, formazione, salute e sicurezza), violando il principio della legge delega che stabilisce la parità di tutele economiche e normative».
Non mancano gli esempi. Come la situazione di Enrica Guzzonato, lavoratrice di Euro&Promos in appalto all’Università di Padova. Il suo contratto di poche ore settimanali (pagate 7,47 lordi l’ora) può arrivare fino a 38 ore (regolarmente pagate), ma senza maturare alcun diritto pensionistico, malattia, ferie, Tfr. «Oppure quello che accade nell’edilizia, settore “giungla” per la varietà del contratti utilizzati, dove alcuni lavoratori stranieri sono in semi schiavitù, non possono testimoniare perché rischiano l’incolumità personale o spariscono», come spiega Barbara Schiavo (segreteria provinciale di Fillea Cgil Padova).
Il nuovo Codice non solo incentiverà la corsa al massimo ribasso, colpendo i diritti e le condizioni di lavoro, ma produrrà ancora più incertezze normative, rendendo più difficile da parte delle pubbliche amministrazioni, dei sindaci, dei direttori delle aziende locali gestire l’affidamento di servizi o appalti di opere. Aumenteranno così contenziosi legali e vertenze in modo significativo, rallentando ancor di più i tempi.
«Chiediamo a tutte le forze politiche, associazioni datoriali, istituzioni locali, ai deputati e senatori eletti nel nostro territorio, di far sentire la propria voce, affinché il governo ritiri le proposte di modifica del Codice Appalti – spiega Margherita Grigolato, Dipartimento inclusione Cgil Veneto –. Il governo apra un tavolo di confronto serio con le parti sociali realmente rappresentative, assumendo la qualità e la difesa dei salari, dei diritti dei lavoratori, della salute e sicurezza come stella polare». La Cgil del Veneto chiede infine una revisione del “Protocollo di intesa in materia di appalti”, firmato nel dicembre 2020 con la Regione, per adeguarlo alla nuova normativa e per rafforzarne gli elementi qualificanti. —
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