«Ci sono effetti collaterali»

PADOVA. «La plasmaferesi ha effetti collaterali sia locali, con riferimento agli accessi venosi sollecitati, sia sistemici perché si tratta di una procedura lunga e l’apparato cardiocircolatorio è...
PADOVA. «La plasmaferesi ha effetti collaterali sia locali, con riferimento agli accessi venosi sollecitati, sia sistemici perché si tratta di una procedura lunga e l’apparato cardiocircolatorio è sottoposto a stress». Lo spiega il dottor Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro Nazionale Sangue, l’organo di coordinamento e controllo tecnico-scientifico del sistema trasfusionale nazionale che fa capo al ministero della Salute. In un comunicato pubblicato nelle scorse ore sul suo sito, il Cns è intervenuto nella vicenda veneta del trattamento anti Pfas sostenendo che la plasmaferesi terapeutica (usata per la rimozione dal sangue delle sostanze perfluoroalchiliche) è diversa da quella produttiva (legata alla donazione di sangue) e non priva di effetti collaterali.


Dottor Liumbruno la plasmaferesi è prevista dalle linee guida?


«Le raccomandazioni internazionali non includono il trattamento di questo specifico contaminante. Indicazioni simili ci sono per altre sostanze, peraltro con livelli di evidenza molto bassi. È pertanto inquadrabile come procedura sperimentale».


Cns ha sottolineato la differenza tra plasmaferesi terapeutica e produttiva.


«Sì, non appare corretto paragonare procedure con profili di invasività e anche di sicurezza assai difficilmente correlabili. Plasmaferesi terapeutica e donazione di plasma mediante aferesi hanno finalità e modalità tecniche di esecuzione totalmente diverse e quindi non sono raffrontabili. La terapeutica comporta un impegno diverso per l’organismo. E non è non invasiva».


Quali sono gli effetti collaterali?


«Ci sono effetti collaterali locali a carico degli accessi venosi che vengono sollecitati per un certo periodo di tempo. E ci sono effetti collaterali sistemici perché si tratta di una procedura lunga per cui l’appartato cardiocircolatorio è sottoposto a stress. Ecco, la plasmaferesi terapeutica non equivale all’assunzione di un antibiotico, si tratta di una procedura che ha un impatto sull’organismo».


Lei ha detto che è considerabile sperimentale: per questo serve l’autorizzazione ministeriale?


«Le procedure sperimentali richiedono l’autorizzazione del ministero».


Ma ci sono soluzioni alternative per il trattamento delle persone contaminate da Pfas?


«Sull’esistenza di alternative non ho titolo per pronunciarmi».


Le più recenti linee guida sull’impiego dell’aferesi terapeutica nella pratica clinica riportano - secondo i dati divulgati da Cns - un totale di 179 potenziali indicazioni cliniche con differenti gradi di evidenza scientifica e forza di raccomandazione «e non includono specificatamente la rimozione dei suddetti contaminanti tra le indicazioni all’uso della plasmaferesi terapeutica bastata su consolidate evidenze scientifiche».


Sabrina Tomè


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