Clima, l’appello di Messner: «Rete di impianti a fune per avere meno auto. Il Veneto investa parte dei fondi olimpici»
L’appello dell’alpinista: «Da 20 anni gestisco a mie spese il museo sul monte Rite. È della Regione, ma nemmeno un grazie
Se Zaia vuole la montagna sostenibile contenga la spesa per i Giochi sviluppando collegamenti green e alberghi diffusi»
BELLUNO. «Da 20 anni gestisco, a mie spese, il Museo fra le nuvole sul monte Rite. È della Regione Veneto, ma non ho ricevuto nemmeno un grazie. Non me ne dolgo, ma se il presidente Luca Zaia vuole davvero la mobilità sostenibile, anziché le auto, verso le quote più alte, potrebbe scucire non più di 5 milioni dagli investimenti olimpici per realizzare la micro cabinovia che porta ai 2.180 metri del Rite. Rinunceremmo così alle navette».
Dopo una notte di maltempo, splende il sole sul monte Rite, il balcone più panoramico delle Dolomiti, e il re degli ottomila, Reinhold Messner, dispiega le sue proposte di sostenibilità sociale e ambientale come eredità delle Olimpiadi per il territorio. E a proposito di sostenibilità e Olimpiadi, rispetto al progetto di ricostruzione della pista di bob, spendendo 80 milioni, sottolinea: «È difficile non comprendere chi lo classifica come uno spreco. So che in Austria trovano difficoltà a ristrutturare persino la loro pista, quella di Innsbruck, perché questo sport, seppur glorioso, non ha seguito. Capisco che per Cortina la pista è il simbolo, il presupposto dei Giochi Olimpici. Ma se proprio la si vuole, l’investimento venga contenuto».
Una prospettiva, aggiunge che potrebbe aprire a nuove opportunità. «È da 20 anni che chiediamo un piccolo impianto da passo Cibiana al monte Rite per evitare il transito delle navette. Costerebbe una cifra minima, fra 3 e i 5 milioni di euro. Ho letto che la Regione propone i collegamenti tra hub sciistici, da 80, 100 milioni. Ma attenzione, oggi la neve non è più quella di una volta. Si investa, invece, in una rete di impianti alternativa alle auto. Il progetto per il monte Rite è già pronto».
Al limite dalla valle del Boite, e cioè da una stazione del futuro treno delle Dolomiti, anziché dal passo Cibiana? «Un sogno realizzabile. Arrivi da Venezia, scendi dal treno, sali sulla cabinovia e in una manciata di minuti ti trovi sul balcone più bello delle Dolomiti. Ma attenzione, un museo e un impianto non bastano». E qui il ragionamento si apre a che cosa serve alla montagna. «Si impari da Cibiana. Questo paese una volta soffriva la povertà, adesso lentamente comincia a vivere di turismo. La prima cosa da fare è investire nella ristrutturazione delle case abbandonate. Chi lavora a Cortina deve abitare a 30 km di distanza. Non ne trovano gli imprenditori per i loro collaboratori, neppure i medici, gli insegnanti. Perché non ritagliamo una quota degli investimenti olimpici per recuperare queste case? È proprio necessario costruire ex novo un villaggio olimpico o non è più saggio ricavare l’ospitalità da tanti alberghi diffusi, risanando il patrimonio edilizio?».
Tante piccole Katmandu da avviare nei borghi mezzi disabitati. «Lo dicevo ancora 20 anni fa. Ma la politica ha disatteso questa prospettiva. E la montagna si sta spopolando». Intanto entro l’anno non arriverà neppure la nuova legge sulla Montagna, attrezzata di un fondo da 100 milioni (200 nel 2023). «Scommetto che non arriva per la caduta del governo Draghi e del Parlamento. Giorni addietro ho incontrato la mia amica Angela Merkel, che nel 2006 è venuta a farmi visita quassù al monte Rite. Mi ha chiesto, in tono di rimprovero: perché voi italiani avete osato di fare la pazzia di mandare a casa Draghi? Io no di sicuro, le ho risposto. Sì, è stata una pazzia. Draghi era una sicurezza ed una garanzia in campo internazionale. La legge sulla Montagna? Chissà mai se i populisti la ripresenteranno. E se lo faranno, sarà probabilmente una legge assistenzialista. Ma le terre alte hanno bisogno di tutt’altro. Non di un reddito di montagna. Ma di aiutare chi vuole investire».
Innanzitutto nel settore agricolo, spiega Messner, abbinato al turismo. «Esattamente come si è fatto in Alto Adige. L’agricoltura serve, tra l’altro, a bonificare e a tenere pulito e mantenuto il territorio. Poi, è vero, i cambiamenti climatici possono portare disastri anche nelle valli meglio gestite, come è accaduto in queste ore. Ma soprattutto qui nel bellunese c’è molto territorio da recuperare, da riportare a dignità. Magari anche attraverso le più tipiche produzioni locali, che tanto attraggono il turista».
E poi la riflessione si allarga sulla fragilità della montagna, come insegna la tragedia della Marmolada, e alla necessità o meno di limitare l’accesso. «Chiudere il ghiacciaio della Marmolada? Ma una decina d’anni fa, se non erro, è caduta un’intera parete del Civetta. È nella natura delle Dolomiti, delle montagne. Dovremmo chiudere ovunque. Dappertutto dovremmo piantare bandierine rosse o installare semafori. No, no. La montagna deve rimanere libera. Sta nella responsabilità di chi la frequenta essere avvertito dei pericoli. In determinate condizioni si sta solo a casa».
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