Coronavirus, i tatuatori del Veneto: "Noi abituati a lottare contro l'Hiv, fateci aprire"
Il responsabile regionale: "Le cautele che ora impongono a tutti noi le usiamo ormai da anni. Ci hanno sempre richiesto estrema professionalità e ora che serve ci chiudono"

PADOVA. "E' tutta la vita che lottiamo contro Hiv e Epatite e ora ci chiudono per il Coronavirus. Ma noi da sempre lavoriamo con guanti, mascherine e visiera". Rabbia e dolore nelle parole dei tatuatori veneti, un'altra delle categorie travolte dallo tsunami della pandemia. Per loro il problema, oltre che economico, è anche normativo. Per una questione di classificazione Ateco sono equiparati a barbieri e estetiste, quindi nessuna apertura prima del mese di giugno. Il che significa tre mesi di stop, tre mesi cruciali.
"Ma quali estetisti, le cautele che usiamo sono più simili a quelle di un dentista, con spogliatoi e sterilizzatori", evidenzia Ivan Trapiani di Piove di Sacco, artista di caratura internazionale conosciuto come Ivan Trap Tattoo. "In questo periodo di chiusura ho già pagato oltre 7 mila euro tra affitti e bollette. Non vogliamo piangere ma, ecco, non è certo una passeggiata".

C'è anche chi come Matteo Nangeroni, 28 anni, padovano, conosciuto a livello internazionale per lo stile surrealista, sta cercando di andare all'estero per poter continuare a lavorare. "In Svizzera ero riuscito a trovare uno studio che mi assumeva per un periodo di due settimane ma dovrei fare due settimane di quarantena quindi comunque non ci starei con i tempi. Il 90 per cento di miei clienti è straniero, vengono dall'America. Arrivano, si fanno due o tre giorni a Venezia e passano da Padova per farsi il tatuaggio". Matteo Nangeroni ci tiene a fare arrivare un messaggio alle istituzioni: "Già da prima noi usavamo cautele mascherine, guanti e grembiuli tatuando. Il droplet c'è sempre stato perché il sangue che si mescola all'inchiostro fa qualche schizzo".

Massimiliano Crez Freguja di Marghera è rappresentante per il Veneto dell'associazione nazionale Tatuatori.it, oltre che docente ai corsi dell'Usl per l'abilitazione professionale. "E' una mazzata per tutto il settore", dice. "Quello che non riusciamo a far capire è che già siamo preparati a tutte queste misure anti-contagio. Abbiamo sempre lavorato in questo modo".

Massimiliano Crez Freguja lavora insieme alla moglie Stefania Cagnin, detta Manekistefy. "Siamo fermi entrambi in questo limbo. Ogni giorno ricevo telefonate di colleghi in preda a una crisi di nervi e seriamente preoccupati per il futuro". Si stima che in Veneto ci siano circa 200 studi riconosciuti, dove mediamente lavorano almeno due tatuatori. Ma il numero complessivo di artisti supera abbondantemente il migliaio. Poi ci sono gli abusivi che, pare, stanno continuando a lavorare in barba alle regole.

Claudio Repaci, tatuatore di Treviso, è molto preoccupato: "Siamo in circa 7 mila in Italia e la cosa grave è che non esistiamo come categoria. Nessuno ci calcola. E intanto sono già tre mesi che siamo chiusi. In realtà saremmo già organizzati per ripartire, rispettando semplicemente le regole che osserviamo ogni giorno".

Cesare Maggiolo, di Voodoo Tattoo Padova, è un veterano del mestiere. "In quattro nello studio facciamo cento anni di tatuaggi" dice orgoglioso. "La nostra categoria però non esiste, facciamo comodo solo quando è ora di tasse. Ci chiedono di essere sempre al top della professionalità e quando serve davvero ci chiudono. E' un paradosso. Così dobbiamo accordarci alla categoria che ci è più simile: barbieri, parrucchiere, estetisti. Io ho chiuso lo studio, spese non ne ho, aspetto, erodo i miei risparmi. Ma tanti colleghi saranno costretti a mollare".
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