Coronavirus, il professor Pagano: «Il farmaco per la prostata ci darà tregua fino al vaccino»

Rivoluzionaria scoperta del Vimm di Padova per curare i pazienti affetti da Covid-19: si va a bloccare un enzima che favorisce la diffusione della patologia. Su 1.530 pazienti in Veneto che assumono il farmaco nessuno si è ammalato del virus
Il professor Francesco Pagano
Il professor Francesco Pagano

PADOVA. Dopo poco più di un secolo Padova torna teatro di un nuovo armistizio. Questa volta il campo di battaglia è quello assai più nobile della scienza, ma il nemico, subdolo come ci ha abituati il coronavirus. Al tavolo siede il Vimm (Istituto Veneto di Medicina Molecolare) che ha scoperto l’efficacia di un farmaco, già in uso per il cancro alla prostata, sul Covid-19. A guidare il team di ricercatori è il professor Andrea Alimonti, ordinario di farmacologia dell’Università di Padova, in collaborazione con il professor Francesco Pagano, presidente della Fondazione per la Ricerca Biomedica Avanzata.

Professor Pagano come siete arrivati a capire che l’enzima che favorisce il tumore alla prostata aveva lo stesso ruolo anche nella diffusione coronavirus?

«Il Vimm ha sempre fatto studi molto approfonditi sul cancro alla prostata e quindi conoscevamo bene il ruolo dell’enzima Tmprss2 in questo ambito: si tratta di una proteina che favorisce la diffusione della patologia. Quando abbiamo saputo che una delle proteine utilizzate dal coronavirus per infettare le cellule era proprio Tmprss2, abbiamo deciso di approfondire le ricerche».

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In sostanza Tmprss2 agisce da “porta” per entrambe le patologie?

«Sì, facilita l’ingresso nelle cellule e le infetta. L’aspetto positivo, tuttavia, è che c’è una terapia antiandrogena che viene già largamente usata per bloccare lo sviluppo del tumore alla prostata. E quindi potrebbe funzionare anche per combattere il coronavirus. Ne abbiamo parlato con la Regione e abbiamo chiesto i dati sul virus. Del resto se questo meccanismo è esatto si spiega perché si ammalano di Covid-19 soprattutto gli uomini al di sopra dei 40 anni, quando cioè ha inizio l’ipertrofia della prostata. Ma ci sono anche altri dati a supporto del nostro studio: su 150 pazienti trattati per la prostata e malati di coronavirus, nessuno assumeva l’antiandrogeno, mentre su 1530 pazienti in Veneto che assumono il farmaco nessuno si è ammalato di Covid-19. Un’ulteriore prova che funziona».

Stiamo parlando di un farmaco utilizzato per una patologia esclusivamente maschile come il tumore alla prostata. Crede che possa essere utilizzato anche nelle donne con Covid-19?

«Sulle donne abbiamo attivato l’endocrinologia per verificare se ci siano meccanismi analoghi, non sappiamo quali possano essere gli effetti sugli estrogeni. Ci saranno sicuramente degli effetti collaterali da privazione di ormoni tali da provocare conseguenze sgradevoli per qualche settimana, ma credo che sarebbe il caso di provare il farmaco anche su di loro».

Ora quali sono i passaggi?

«Partiamo subito con lo studio clinico negli ospedali padovani che trattano pazienti con il Covid-19 e, se tutto va bene, ci estenderemo al resto del Veneto e poi a tutto il mondo. La grande forza di questa scoperta è la possibilità di utilizzare farmaci già in commercio. In particolare ce n’è uno nuovo che ha un’azione rapidissima e questo ci consentirà di velocizzando notevolmente i tempi».

Quanto ci vorrà per capire se funziona?

«Nel cancro alla prostata l’antiandrogeno agisce anche in pochi giorni e si vede perché abbassa il Psa. Noi speriamo che la risposta sia altrettanto rapida e di avere una soluzione nel giro di un mese. Se funziona, ci garantirà una tregua con il virus fino alla scoperta del vaccino. E sarà solo per merito dei nostri ricercatori, persone eccezionali, che lavorano con grande entusiasmo e passione senza aver mai riconoscimenti da nessuno». —

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