Coronavirus, l'appello del virologo Rigoli: «I tamponi rapidi sono efficaci e necessari»

Il direttore della Microbiologia di Treviso: «Vi prego, non dubitate della loro attendibilità Non mi interessa fare carriera. Le divisioni avvantaggiano il virus» 
De Wolanski Treviso Ca' Foncello Laboratorio Analisi Dott Rigoli
De Wolanski Treviso Ca' Foncello Laboratorio Analisi Dott Rigoli

TREVISO. «Vi prego, non dubitate. I test rapidi sono efficaci e attendibili, ci permetteranno di convivere con il virus fino a quando non disporremo su vasta scala del vaccino. Fidatevi, li stanno usando tutti i principali paesi avanzati del mondo».

Parole accorate di Roberto Rigoli, 63 anni, trevigiano, da 4 anni direttore del Dipartimento di medicina specialistica e medicina di laboratorio alla Ulss 2 Marca Trevigiana, da 5 anni vicepresidente dell’Associazione microbiologi clinici italiani.

Interviene solo perché sono centinaia le persone che stanno rifiutando i tamponi rapidi, dopo che Andrea Crisanti, docente di Microbiologia all’università di Padova, ne ha radicalmente contestato l’affidabilità rispetto ai classici tamponi molecolari.

Ma prima di considerare perché e chi sostiene scientificamente le ragioni dei test rapidi, conviene chiedere cosa sono le cataste di scatole e provette sistemate sul pavimento e sui tavoli dello studio di Rigoli nella parte vecchia dell’ospedale di Treviso. Una specie di ospedale da campo.

«Stiamo prendendo in esame tutti i kit in commercio» dice Rigoli «per arrivare a definire il più affidabile come soluzione fai-da-te. Siamo convinti che, come per il test di gravidanza, anche il tampone rapido per individuare il coronavirus possa e debba avvenire in auto-somministrazione. Così potremo andare al ristorante e, prima di accedere, verificheremo se siamo positivi o negativi avendo la risposta in 15 minuti».


E a che punto siamo con questa metodica e che ne pensa la comunità scientifica internazionale?

«Treviso con il Veneto è un autentico laboratorio pilota a livello nazionale e lavoriamo in stretta collaborazione con l’Istituto Spallanzani. Le prove sono in fase avanzata, poi l’ultima parola per la messa in commercio toccherà all’Istituto superiore di sanità. Ma guardate che qui stiamo conducendo svariate sperimentazioni, per esempio su un kit capace di individuare il coronavirus e anche l’influenza di tipo A o B, perché tra breve saremo invasi anche da questa malattia di stagione ed è indispensabile distinguerle clinicamente».

Ma se sarà applicato il kit fai-da-te come potranno essere conservati e elaborati i dati?

«Si tratta di un aspetto cruciale, lo stiamo approfondendo, probabilmente utilizzeremo la app regionale “0 Covid” già realizzata, alla quale verrà agganciata la funzionalità in grado di assistere il cittadino che decide di eseguire il test. Ma vi faccio presente che al momento non vedo alcuna alternativa valida al test rapido in auto somministrazione, salvo che non riteniamo che chiuderci in casa ogni due mesi sia ineluttabile per evitare che il virus dilaghi».

Quali sono i paesi che ammettono i test rapidi?

«Lo screening con antigene è la forma diagnostica nettamente prevalente in Spagna, Francia, Regno Unito, Danimarca, Norvegia, Austria, Portogallo, Belgio, Svezia. Stati Uniti. Parliamo di milioni e milioni di test».

E allora perché Crisanti ne contesta l’affidabilità?

«Da principio, l’Istituto Spallanzani non aveva validato il test rapido. Perché? Ci siamo resi conto che aveva processato il test il giorno dopo avere effettuato il prelievo. Il punto è che l’antigene degrada e perde di affidabilità se passa troppo tempo. E così con questa avvertenza lo Spallanzani, come tante altre istituzioni scientifiche delle più autorevoli, ha validato il test».

Ma è affidabile o no? Lo studio condotto da Crisanti individua un terzo di “falsi negativi” tra i test processati con tampone rapido.

«Osservo che Oms, la francese Haute autorité de santé, le linee guida spagnole rilevano una sensibilità clinica dei test rapidi superiore all’80% e una specificità clinica superiore al 95%. I dati di Crisanti non li abbiamo visti. Ma posso ritenere probabile che il disallineamento da lui rilevato tra i dati del test rapido e del tampone molecolare dipenda dal fatto che quest’ultimo rileva anche la presenza di virus morti. Anche con il virus morto il tampone molecolare risulta positivo. Ma il punto è che il virus morto per definizione fa sì che il paziente non sia più contagioso. Ma se non è più infettante va solo curato e ovviamente lo facciamo per i sintomi che presenta».

Facciamo un caso concreto. Emerge che un paziente, avendo fatto un test rapido di esito negativo, sostiene di essere stato salvato solo dal medico del pronto soccorso dell’ospedale di Treviso che ne ha preteso il ricovero.

«Quando il paziente si è presentato in ospedale aveva l’infezione in corso da almeno una decina di giorni. E dunque il virus, ormai morto, non era rilevabile per le vie aeree con il tampone rapido poiché era sceso in profondità nei polmoni. Ma la storia raccontata dal paziente appartiene a un preciso protocollo: quando il paziente manifesta sintomi importanti, e pur in presenza in test negativo, viene sottoposto a Tac e Rx, insomma accertamenti diagnostici ulteriori. Nella storia narrata il medico del pronto soccorso ha agito secondo protocollo. E mi viene da dire che forse in Veneto non siamo consapevoli del valore della nostra sanità».

Esiste una correlazione tra l’uso massivo dei test rapidi e il fatto che la provincia di Treviso ha un gran numero di importanti focolai e indici di contagio tra i più elevati del Veneto?

«Intende dire che causa i test rapidi ci sfuggono tanti casi positivi e dunque infettanti? Contesto questa tesi. Ci possono sfuggire casi positivi, in percentuali modeste, ma quando non sono comunque più contagiosi. E questo risulta in maniera chiarissima dai nostri studi clinici. In ogni caso, i test rapidi sono nettamente maggioritari in tutta la regione».

Se sono più affidabili, perché non concentrare ogni sforzo sul tampone molecolare?

«A marzo siamo arrivati a fare 10/11mila tamponi molecolari al giorno, oggi ne processiamo circa 30 mila. E 30 mila molecolari sarebbe un ritmo insostenibile per i nostri laboratori. In ogni caso, contesto che avremmo risultati più affidabili. Senza contare la celerità, semplicità, frequenza che caratterizza il test rapido. Di sicuro è più valido fare due test antigenici in 10 giorni che uno molecolare nello stesso periodo. E non stiamo ancora parlando di denaro, che è pubblico».

A questa contesa fanno da sfondo anche interessi economici importanti.

«Iniziamo a dire che 6/7 mesi fa nessun Paese, a parte la Corea, prestava attenzione al test antigenico. All’epoca il kit costava circa 12 euro l’uno e i produttori erano un paio, oggi le aziende mondiali sono una trentina e il costo sta sotto i 3 euro. Il tampone molecolare costa 30 euro».

Il virus è mutato e dunque i test sono in grado di rilevarlo?

«I 256 casi riscontrati alla caserma Serena, i dipendenti dell’azienda Pollo Aia, ma anche tanti ospiti delle residenze per anziani questa estate manifestavano carica elevata e però erano tutti asintomatici. Intendo dire che la carica non è cambiata affatto da primavera. Ma poiché i virus hanno la caratteristica di mutare, stiamo raccogliendo i ceppi di Covid 19 di ogni Ulss veneta, mese per mese, e li sequenziamo per verificarne le mutazioni. Che è necessario per definire diagnosi e terapia».

Dopo un’ora e mezza trascorsa a mostrare studi internazionali e kit in fase di sperimentazione, Rigoli si ferma. Quasi pentito di aver parlato tanto. «Io sono un microbiologo operaio, la tivù non mi interessa, non voglio fare la star. Fino all’ultimo giorno di lavoro resterò a Treviso, non cerco di far carriera allo Spallanzani o di fare il salvatore della patria. È da quando è iniziato a circolare questo virus che invito tutti a collaborare per trovare soluzioni per il bene dei cittadini. Le divisioni non fanno bene a nessuno ma avvantaggiano un solo unico attore: il virus Sars-Cov2». —


 

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