«Così la ’ndrangheta mi ha rovinato»
PADOVA. «Non so ancora come ho fatto a rimanere vivo. Ho toccato ogni forma di disperazione e tante, tante volte, ho pensato di togliermi la vita. Mi sembra davvero impossibile che io, dopo tutto quello che ho passato, oggi mi ritrovi ancora sulle mie gambe». È una disperazione che si tocca con mano quella dell’imprenditore padovano grazie a cui Dda di Venezia, carabinieri del Ros e i colleghi di Verona sono riusciti a mettere le manette a sette mafiosi residenti in Veneto, tra cui tre fratelli calabresi – Domenico, Carmine e Fortunato Multari – direttamente legati alla ’ndrangheta. È grazie alla denuncia del padovano, un mobiliere minacciato per anni e ridotto alla miseria, che è emerso il sistema di estorsioni e di frodi con cui la banda (ci sono anche 15 denunciati) taglieggiava vari artigiani e imprenditori del Basso Veneto.
Il mobiliere padovano aveva conosciuto il più vecchio dei Multari, Domenico, per una fornitura di legname per realizzare la scuola elementare di Lonigo. L’azienda dell’imprenditore era florida – con un fatturato mensile di 80 mila euro – e stabile, tanto che per il mobiliere non è stato un problema versare 30 mila euro a Multari per garantirsi quel lavoro e quelli futuri. L’azienda aveva quindi fornito 15 mila euro per la commissione nel Vicentino, ma corrisposti dal Multari. Nonostante i crescenti crediti, Multari era riuscito a legare a tal punto con il mobiliere da poter chiedere – in virtù di un solido rapporto di amicizia – un prestito da 70 mila euro.
Con un debito ormai salito a 100 mila euro, il mobiliere ha chiuso i rubinetti chiedendo il ritorno di quella somma. Per sdebitarsi, Multari ha proposto al padovano la cessione di un immobile da 300 mila euro in provincia di Verona, a Zimella. «È un piacere che non puoi rifiutare», era la velata minaccia alla base della proposta. Peccato che per il mobiliere quello era stato un passo nel baratro. Nel giorno della compravendita, infatti, l’imprenditore patavino si era accorto che la cessione riguardava due fabbricati e un terreno agricolo, e soprattutto che ad attenderlo c’era un funzionario di banca che aveva pronto, per lui, un contratto di mutuo per un valore di 390 mila euro per perfezionare l’acquisto. «Stai tranquillo, questo mutuo lo pagherò io», aveva assicurato Multari. E invece a distanza di qualche anno si era presentato un funzionario del Tribunale di Verona, sottolineando che nessuna rata del mutuo era stata pagata.
Gli immobili erano andati all’asta – vinta a 70 mila euro da una prestanome di Multari – e al padovano era rimasto un decreto ingiuntivo per 230 mila euro. Somma che lo stesso non poteva onorare. Risultato? Al povero mobiliere è stata pignorata l’abitazione. In tutti questi passaggi Multari aveva anche consegnato un assegno da 70 mila euro al mobiliere, ma quando questo aveva tentato di incassarlo il mafioso lo aveva bloccato con delle parole molto chiare: «Se non ritiri subito l’assegno vengo là e ti ammazzo». L’imprenditore ha visto così naufragare la sua azienda, ha rotto i rapporti con il fratello-socio e ha pure perso un matrimonio, finendo a vivere in roulotte. Oggi vive in un alloggio popolare e spera che l’iter giudiziario gli porti qualche forma di risarcimento: «Nessuno può comprendere la disperazione che ho vissuto, nessuno». —
Nicola Cesaro
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