Dal Museo della follia all’archivio Basaglia Ecco cosa visitare

I documenti di un mondo che rappresentava l’esclusione: l’amante di Mussolini, l’artista Zecchin e tanti altri
VENEZIA. Il registro presenta i segni del tempo, ma è ancora consultabile. Nella copertina, scritto mano in un’etichetta bianca, si legge: «Elenco dei maniaci entrati dal 23 ottobre 1725 a tutto il 24 settembre 1842». Il primo a essere ricoverato come “pazzo”, il 26 ottobre di quell’anno, è un certo Lorenzo Stefani, inviato a San Servolo dal Consiglio dei Dieci, ma dopo di lui la fila è prosegue riga dopo riga. I motivi del ricovero sono tra i più disparati, incluso un certo Alessandro Bravin che, nell’estate del 1801, viene mandato nel manicomio dalla famiglia “per castigo” e ci rimane un anno intero.


“Mentecatti”, “maniaci” e “pazzi” pullulano nel registro, ma spesso si trattava anche di pellagra. Nome, disturbo e motivo del ricovero sono custoditi con cura dall’archivista Luigi Armiato che conosce il contenuto delle decine di faldoni presenti nell’archivio (aperto da martedì a giovedì 9,30-13 tel. 041.2765452), confinante con quello della Fondazione Franco e Franca Basaglia. Tra i più conosciuti c’è Ida Irene Dalser, amante di Benito Mussolini. Donna emancipata e colta, Dalser impazzì e morì a San Servolo nel 1937. Un altro personaggio noto è il veneziano Vittorio Zecchin. Artista del vetro, fu ricoverato tra la fine del 1942 e la metà del 1945 con due ricoveri per “delirio senile”. «Abbiamo anche un libro di fotografie», spiega Armiato, «perché si usava farle quando un malato entrava e quando usciva. Ci sono molte storie all’interno dei documenti, come quella di un bambino di due anni, Ferruccio Gaiatto, che venne lasciato qui nel 1924 e mai più ripreso dai genitori».


Nella porta accanto c’è un altro importante archivio, quello dello psichiatra veneziano Franco Basaglia. Grazie alle sue denunce per il maltrattamento inflitto ai malati psichiatrici e alla sua battaglia per il riconoscimento della dignità di ogni persona, i manicomi vennero chiusi nella celebre legge 180 del 1978. «Ho fatto la tesi sulle cartelle cliniche mentre stava chiudendo l’ospedale», racconta Alberta Basaglia che, con il fratello Enrico, cura l’archivio. «Quando vado a San Servolo ho l’immagine di com’era e di com’è diventato. Una volta rappresentava l’esclusione e ora l’inclusione».


L’archivio Basaglia si visita su appuntamento (fondazionebasaglia@fondazionebasaglia.it) e custodisce documenti dal 1954 al 2005 e quelli di Franca Ongaro Basaglia quando era senatrice, dal 1983 al ’92. In un edificio dov’erano ricoverati i malati, oggi c’è il Museo della Follia, con una media di 7000 visitatori all’anno, gratis per i veneziani.


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