Dal porto offshore al ruolo di Marghera: ecco il piano intermodale per Venezia
Antonio Revedin, direttore Pianificazione e Sviluppo dell’Autorità Portuale: «Cerchiamo l’equilibrio tra attività e ambiente»
VENEZIA. Nel futuro a lungo termine del Porto di Venezia si intravede la piattaforma off shore per le navi da crociera e per i container. Ma poiché ci vorranno anni, «bisognerà arrivarci vivi», per dirla con le parole di Antonio Revedin, direttore della Pianificazione strategica e dello Sviluppo dell’Autorità di sistema portuale della città lagunare. «Puntando, nella parte dell’entroterra, sullo sviluppo delle infrastrutture e della logistica».
Direttore Revedin, la logistica è uno dei punti intorno al quale si sta ridefinendo il sistema economico mondiale. Quali sono i piani di sviluppo per Venezia?
«Il bando di idee da 2,2 milioni di euro pubblicato lo scorso 29 giugno per la realizzazione di un porto offshore, all’esterno della laguna, ci porta a ragionare sulla delocalizzazione di almeno una parte delle attività del Porto, quelle più soggette al gigantismo navale. Questo non significa abbandonare Porto Marghera, ma ripensarla. Da un lato lavorando sulla manutenzione delle attività più strettamente portuali, come i canali, cercando l’equilibrio tra attività e ambiente lagunare, dall’altro sul potenziamento delle infrastrutture a servizio della logistica, spingendo sul trasporto ferroviario».
La cosiddetta cura del ferro. Come si declina per l’area portuale?
«Nell’arco di 5 anni realizzeremo il ponte ferroviario sul canale industriale ovest, parallelo al ponte strallato, che permetterà di accedere alla stazione di Marghera Scalo evitando il passaggio per la stazione ferroviaria di Mestre. È un intervento, previsto anche dal Pnrr con un finanziamento da 8 milioni, che rientra nel programma Veneto Intermodal, promosso dalla Regione e cofinanziato dall’Ue per l’integrazione dei nodi logistici di Venezia, Padova e Verona. Sul lungo periodo invece è previsto un collegamento intermodale che, dalla dismessa linea ferroviaria dei Bivi, a monte dell’ingresso a Mestre, permetta un collegamento diretto ferroviario e stradale con la penisola della chimica, area Sud di Porto Marghera».
Quali sono oggi i rapporti di Venezia con gli interporti di Padova e Verona?
«I due interporti hanno origini diverse. Verona è nato come terminale delle merci per la Germania, Padova per la costa ligure. Con Verona stiamo collaborando per un treno navetta mentre con Padova per un punto di raccolta merci delle aziende di quell’area industriale e per l’istituzione di un corridoio, anche dal punto di vista doganale. Se la richiesta sarà molta ci sarà un treno, altrimenti un collegamento via gomma. Con specificità diverse, Verona, Padova e Venezia stanno costituendo una piattaforma logistica veneta. Porto Marghera, nel suo percorso di ridefinizione, vuole giocare un ruolo sempre più importante in questa partita logistica, per il passaggio delle merci e a servizio delle aziende del territorio».
Per i collegamenti tra Venezia e Padova, ciclicamente, si torna a parlare dell’idrovia, la grande incompiuta. Qual è la posizione dell’Autorità portuale?
«L’utilità dell’idrovia Padova-Venezia può essere di carattere idraulico, ma non certo per il trasporto delle merci. Il tratto è troppo breve, non è economico».
Uno dei principali problemi del Porto è la navigabilità dei canali, percorsi di accesso in un contesto unico e fragile quale è la laguna.
«Venezia è un porto forte sui traffici mediterranei, e sulle rotte a lungo raggio tramite navi feeder. Alla bocca di porto di Malamocco il Mose è a meno 14 metri, il canale tra Malamocco e Marghera, l’ombelico vitale di Porto Marghera, ha un pescaggio di meno 12 metri. L’accessibilità ai canali è necessaria, stiamo lavorando sul recupero dei sedimenti, e studiando delle soluzioni anche per preservare i canali cercando di evitare lo spostamento dei sedimenti».
Quanto è difficile la convivenza tra Mose e Porto?
«Lo scorso autunno abbiamo assistito a una fase sperimentale, con le paratoie alzate a previsioni di 130 centimetri. È chiaro che, con il Mose in funzione, l’attività del Porto ne risente, soprattutto per le navi container e i traghetti, per i quali la puntualità è fondamentale. Comprendiamo tutta la complessità di questa fase, ma ci sono margini di ottimizzazione rispetto alla procedure di chiusura, soprattutto per i tempi. A Malamocco è stata realizzata la conca di navigazione, ma è troppo piccola e va aggiustata. Anche il Mose è uno dei motivi per cui si rende necessario il porto off-shore».
Ci aveva provato 10 anni fa l’ex presidente del Porto, Paolo Costa, ma il progetto di una piattaforma d’altura si dimostrò irrealizzabile per i costi, compresi per lo sbarco delle merci tramite chiatte. Che cosa è cambiato da allora?
«La grande sfida riguarda proprio i costi. Per questo c’è un bando internazionale, pubblicato sulla Gazzetta europea. Ci aspettiamo idee, proposte. E’ specificato nel bando che il nuovo porto, fuori dalla laguna, e quindi in mare o lungo la costa, debba essere ben collegato alla terraferma».
In attesa del porto offshore è probabile che le navi da crociera, per evitare San Marco, arrivino nel canale Nord sponda Nord di Marghera attraverso il canale dei petroli. Le crociere sono compatibili con l’attività industriale?
«La proposta presentata nel 2017 fu il frutto di un’analisi realizzata con l’Università La Sapienza. È la parte più vicina alla città, non presenta particolari rischi e le interferenze con il traffico commerciale sono minime. Possiamo stimare che per realizzare il terminal ci vogliano 3 o 4 anni, ma entro un anno si potrebbe portare almeno una nave».
Grazie al Pnrr è previsto l’arrivo di 173 milioni. Per quali interventi?
«Oltre al ponte ferroviario del piano Veneto Intermodal, 89 milioni saranno destinati all’elettrificazione delle banchine, mentre 32,6 per il terminal container nell’area ex Montesyndial, che potrà movimentare fino a un milione di teu». —
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