Donna in burqa e jeans, polemica su Diesel

VENEZIA. È ancora una volta la pubblicità a marcare la differenza fra culture, religioni, modi di vivere e di essere. E, ancora una volta, il soggetto (o l’oggetto?) scelto per la provocazione è il corpo di una donna, quello della modella che nell'ultima campagna della Diesel di Renzo Rosso sfoggia braccia e schiena tatuate sotto un burqa e un velo fatto con una tasca posteriore di jeans. Ma oltre all’insolito velo è soprattutto lo slogan della fotografia a far infuriare il mondo islamico: «I am not what I appear to be», recita la pubblicità. Tradotto: «Non sono quel che sembro».
I tempi di «non avrai altro jeans all'infuori di me» pensato (da Emauele Pirella) e realizzato (da Oliviero Toscani) nel 1971 sono lontani, ma in tante altre occasioni la pubblicità ha fatto della contaminazione religiosa e delle tradizioni il suo cavallo di battaglia per vendere e piacere. Da una settimana lo fa anche l'azienda veneta Diesel, con un'immagine che scatena da subito le reazioni dei musulmani più osservanti ma anche del pubblico laico che, da facebook ai blog in rete – dove emergono paragoni con altre aziende italiane che per le loro campagne hanno usato la religione, come Benetton – si chiede se davvero la pubblicità non debba porsi dei limiti.
È giusto giocare con le usanze altrui? E perché deve essere ancora il corpo di una donna a provocare? Dall'associazione “Rahma” di Padova, punto di riferimento della comunità islamica, arriva solo una risposta di disinteresse all'argomento: «La polemica non fa per noi e preferiamo non commentare, siamo sin troppo impegnati a risolvere i nostri problemi con il luogo di culto». Ma da Silvia Layla Olivetti, fondatrice mestrina del Movimento per la tutela dei diritti musulmani, che rappresenta la comunità di cittadini italiani convertiti all'Islam, arriva un secca risposta di indignazione: «Il titolo giusto per questa campagna è: “Il maschilismo si mette il burqa”. Siamo di fronte a un insulto al genere femminile privo di pudore, un trionfo di becero maschilismo travestito, e male, da pluralismo. Ancora una volta il corpo femminile viene svenduto e mercificato in nome del denaro. È avvilente vedere l'Islam che viene rappresentato negativamente» aggiunge Olivetti. «Se la donna musulmana non viene discriminata abbastanza nel quotidiano, ecco che la Diesel provvede a insinuare dubbi sulla sua moralità sotto il velo».
La polemica che si sta scatenando attorno all'immagine, quindi, riguarda da un lato lo sfruttamento di un'usanza religiosa molto discussa nel mondo, quella che impone ad alcune donne islamiche di indossare il velo integrale, e, dall'altro, quello del corpo femminile come ennesimo “mezzo” di provocazione. «Questa foto è un atto di terrorismo» accusa Olivetti «perché mira a scatenare reazioni forti da parte del mondo musulmano solo per aumentare il fatturato. Inoltre offende il senso religioso dei musulmani e ne deride la fede tramite la mancanza di rispetto per la donna». Naturalmente, c'è anche un altro fronte: quello dei creativi, che si interrogano su quanto arte, fotografia e pubblicità possano, o debbano, andare di pari passo con la libertà di espressione.
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