D’Orazio racconta Artemisia Gentileschi a Padova

Domenica 12 marzo al Teatro Verdi di Padova Costantino D’Orazio tiene la seconda lezione del ciclo curato da Laterza. Indagherà  il dramma e il coraggio di una donna, un’artista, diventata nei secoli un simbolo con la sua forza di combattere da sola

contro la violenza, i silenzi, l’emarginazione

Nicolò Menniti-ippolito
Artemisia Gentileschi, Autoritratto come allegoria della Pittura, (1638-1639), Royal Collection, Windsor
Artemisia Gentileschi, Autoritratto come allegoria della Pittura, (1638-1639), Royal Collection, Windsor

È la pittrice che tutti citano, quando si tratta di contrastare l’idea che la grande pittura del passato sia stata solo maschile. Eppure Artemisia Gentileschi, nonostante romanzi (da Anna Banti ad Alexandra Lapierre), film (quello interpretato da Valentina Cervi) e anche manga (il giapponese “Arte”) rimane una figura più orecchiata che realmente conosciuta. A raccontare la sua vita tormentata, la violenza subita, ma anche i suoi quadri, la sua maestria pittorica sarà domenica 12 marzo alle 11, al Verdi di Padova, Costantino D’Orazio, storico dell’arte, saggista, divulgatore televisivo molto amato dal pubblico per la sua chiarezza.

 E’ la seconda Lezione di Storia del ciclo curato da Laterza con il Comune di Padova e la mediapartnership del mattino di Padova e dedicato a “La guerra dei sessi”.

Costantino D'Orazio
Costantino D'Orazio

Il ciclo delle lezioni quest’anno si intitola “La guerra dei sessi”. Artemisia l’ha vinta o l’ha persa?

«Nella vicenda della violenza ci sono ancora lati oscuri nonostante molti documenti siano stati pubblicati. Per questo è importante illuminare le zone d’ombra passando in rassegna –come farò a Padova– tutte le testimonianze. Detto questo, indubbiamente Artemisia ha dovuto subire cose che nessuna donna dovrebbe subire: è stata violentata, disonorata, è stata torturata, eppure è riuscita ad emergere come una grande artista».

Il suo violentatore, il pittore Agostino Tassi, venne invece condannato.

«Sì, ma in gran parte non scontò la condanna. Quasi sicuramente pagò la somma che divenne poi la dote di Artemisia e fu bandito da Roma. Ma come spesso accadeva ai grandi artisti, dopo pochi mesi ritornò e riprese a lavorare realizzando affreschi su commissione come faceva prima. Quindi è indubbio che il danno maggiore lo subì lei, che dovette lasciare la città e fu costretta a sposare un uomo che lasciò dopo pochi anni».

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Nonostante questo, si afferma.

«È costretta ad abbracciare una carriera diversa da quella che avrebbe avuto se fosse rimasta a Roma sotto la protezione del padre. E questo non c’è dubbio che abbia rafforzato moltissimo la sua indipendenza. Lo constatiamo leggendo le lettere che scrive di continuo ai suoi committenti, tenendo testa a tutti, anche se erano duchi e principi. Anche quando venne chiamata in Inghilterra per finire le opere del padre Orazio non fu per intercessione paterna, ma per il suo prestigio».

Per molto tempo Artemisia è stata celebre più per la vicenda giudiziaria che come artista. Poi cosa è successo?

«La sua fama è stata a lungo legata al caso di cronaca. Ma ora le mostre che si susseguono in modo – come dire – tumultuoso sia in Italia che in Europa e in America stanno cambiando le cose. Finalmente c’è attenzione al lato tecnico, c’è un apprezzamento del suo lavoro. Io credo sia stata una grandissima pittrice».

È cambiata la sua pittura dopo la violenza?

«Farò vedere i quadri prodotti prima e dopo lo stupro. Sarebbe stupido sostenere che lei nei dipinti successivi si sia voluta in qualche modo vendicare, però è indubbio che per esempio la sua versione di “Giuditta e Oloferne”, un soggetto frequentato da tutti i caravaggeschi, abbia una grandissima intensità, superiore anche a quella del padre».

Che era un grande pittore a sua volta, che la aveva avviata alla professione, ma che ebbe un atteggiamento strano durante e dopo il processo.

«La cosa abbastanza singolare è che chi fa partire il processo è il padre di Artemisia. Una denuncia da parte di lei non sarebbe mai stata presa in considerazione in quanto donna. Tuttavia durante lo svolgimento del processo il grande assente è proprio il padre. Artemisia, anche se aveva solo 18 anni, si difese praticamente da sola e proprio questo ha contribuito a trasformarla in una sorta di eroina in lotta contro il potere maschile: molti testimoni tentarono di descriverla come una sgualdrina, una ragazza di facili costumi. Artemisia portò avanti una difesa audace, anche quando venne torturata: di fronte a un giudice le parole di un uomo valevano più delle parole di una donna, e solo se la donna accettava di testimoniare sotto tortura acquisiva credibilità».

E dopo il processo?

«Fino alla vicenda dello stupro Orazio Gentileschi era innamorato, da padre, della figlia. La ritrae spessissimo, anche sul soffitto del casino delle Muse, che lui sta affrescando assieme ad Agostino Tassi. Le insegna a dipingere, le apre la strada all’interno del mondo artistico. Dopo lo stupro e il matrimonio riparatore i rapporti tra i due diventano conflittuali anche se Artemisia rimarrà sempre debitrice nei confronti di Orazio e copierà molte sue opere. Quindi, anche se a livello personale i rapporti non sono particolarmente felici, dal punto di vista artistico non lo rinnega mai, tanto che ci sono ancora molti quadri le cui attribuzioni vengono rimpallate».

Lo supera artisticamente?

«Durante la vita eguagliò la fama del padre, in epoca contemporanea l’ha superata anche perché è diventata una bandiera del femminismo. Da storico dell’arte mi sentirei di dire che non è superiore al padre, che è un pittore eccelso. Artemisia ha indubbiamente dei picchi altissimi, il padre ha una maggiore continuità».

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La partecipazione agli incontri è gratuita. Prenotazioni sul sito del Teatro Stabile del Veneto.

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