Ecco come il Montepaschi si assicurò Antonveneta

PADOVA. La sera del 6 novembre 2007 sul tavolo c’erano due offerte: una da 8,25 miliardi del Monte dei Paschi e un’altra da circa 8 miliardi dei francesi di Bnp Paribas. Quest’ultima non solo era più bassa ma anche meno certa. Bnp, infatti, avrebbe pagato 7 miliardi alla chiusura della cessione e un altro miliardo in relazione ai risultati 2008 di Antonveneta. Il 7 novembre don Emilio Botin, gran capo del Santander, nell’incontro conclusivo a Madrid, dice ai consulenti di Rothschild «di essersi accordato con Mussari il quale aveva accettato tutte le condizioni» in ordine al corrispettivo richiesto, elevato a 9 miliardi, e alla impossibilità di fare una verifica preventiva sui conti della banca veneta.
La vendita. Una ricostruzione dettagliata del passaggio di Antonveneta a Mps emerge dal rapporto del Nucleo Speciale Polizia Valutaria - Gruppo Tutela del Risparmio, della Guardia di Finanza che riporta le dichiarazioni di uno degli intermediari della cessione, advisor per il venditore. Una fonte direttamente coinvolta nella trattativa, che oggi è il cuore dell’inchiesta della Procura di Siena, sostiene che l’allora presidente del Monte, Giuseppe Mussari, decise rapidamente per una costosa offerta, senza l’aiuto di consulenti, perché temeva di essere battuto da Bnp.
Pressing. Botin, navigato presidente del Santander, usò proprio l’offerta francese per mettere pressione su Mussari, secondo il rapporto della Gdf. Gli advisor di Botin, dice una fonte, ricevettero una telefonata di richiesta di consulenza per l’acquisizione solo il giorno dell’annuncio ufficiale. La stessa fonte accredita poi a Botin di aver gestito la trattativa «per creare una tensione» tale da fargli spuntare quel prezzo. Gli investigatori vogliono capire se il gruppo dirigente del Monte abbia deliberatamente strapagato Santander e se ci possa essere stata corruzione.
Sul filo dei minuti. Quando arriva in Cda la proposta di acquisizione di Antonveneta si rappresenta anche l’urgenza di decidere presto. «L’operazione fu fatta a 9 miliardi perché sembrava che Bnp fosse pronta a offrire 8,6 miliardi, ma quell’offerta non l’ho mai vista», dice una fonte qualificata direttamente coinvolta. Il dettaglio di quella concitata transazione, riportato nel rapporto della Gdf, si basa sulle dichiarazioni rese ai magistrati da Alessandro Daffina, capo di Rothschild in Italia e uno dei consulenti per Santander in quell’operazione. Per Botin, si legge, «era importante vendere nel breve periodo».
La trattativa. Secondo gli inquirenti, Rothschild contattò Mps e altri quattro potenziali interessati ad Antonveneta: Unicredit , Ubi Banca, Crédit Agricole e Bnp Paribas. Unicredit, come più volte poi ricordato da Alessandro Profumo, non ritenne interessante la proposta perché troppo costosa mentre le altre banche «si dichiararono fortemente interessate all’acquisizione». È il mese di agosto del 2007. Botin, che trattava direttamente con Bnp, preferiva vendere ai francesi, secondo la ricostruzione della Gdf. Ma in una email del 29 ottobre 2007, Daffina propone a Mussari di inviare a Botin una lettera per esplicitare l’interesse per Antonveneta e propone al presidente di Mps una bozza della missiva. In questa Mussari spiegherebbe a Botin che l’operazione potrebbe chiudersi «in tempi molto rapidi e con piena soddisfazione reciproca».
Le verifiche di Menzi. Molto presto però l’acquisto di Antonveneta si rivelerà causa di preoccupazioni. L’allora vice direttore generale vicario Giuseppe Menzi, oggi d.g. di Antonveneta, le fa presenti al direttore generale Antonio Vigni. «Banca divisionalizzata male, governance di fatto accentrata su Amsterdam, stallo dello sviluppo commerciale (le diverse Opa l’hanno ingessata)... bisogna riconsiderare gli accantonamenti per il 2007... Crediti: ultimo anno a crescita zero, di fatto la filiera del credito (accorpata nel risk) non funziona... Tesoreria: accentrata su Abm, sono a debito 7 billion (miliardi, ndr) 4 al netto di Interbanca)», scrive Menzi secondo quanto sostiene la Gdf. «Le criticità vanno curate con terapia d’urto». La mail è del 15 novembre 2007, una settimana dopo l’annuncio al mercato dell’acquisto.
Il finanziamento. Agli azionisti viene prospettato un utile 2011 a 2,2 miliardi. Accettano quindi che Mps finanzi l’operazione con un aumento di capitale da 4,974 miliardi in opzione ai soci, un’emissione di strumenti ibridi per 2,160 miliardi, un finanziamento ponte da 1,56 miliardi e un aumento da 950 milioni riservato a Jp Morgan che servirà per la costruzione del fresh, lo strumento finito sotto la lente dei magistrati. Al momento dell’annuncio le azioni Mps quotavano sopra 4 euro. Oggi non arrivano a 0,25 euro.
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova