Ecco i corsi di laurea in Veneto che danno più garanzie di trovare lavoro

La scelta del corso di laurea è un momento fondamentale per il futuro di un giovane che ha appena completato le scuole superiori, in grado di segnare in modo indelebile i suoi percorsi di vita. I dati che commentiamo possono aiutare a decidere a quale corso di studi iscriversi nelle università di Padova, Venezia Ca’ Foscari e Venezia IUAV.
Essi riguardano il lavoro nell’anno successivo al conseguimento del titolo dei laureati triennali, magistrali o a ciclo unico del 2017. Quindi, questi dati possono essere utili per orientare la scelta di chi ha appena terminato o sta per terminare le scuole superiori, ma anche di quanti hanno appena conseguito o si apprestano a conseguire una laurea triennale, e devono decidere se iscriversi a una laurea magistrale o se cercare subito un lavoro.
LA SCELTA

La scelta del corso di laurea dovrebbe comprendere anche elementi diversi dal lavoro futuro: la realistica consapevolezza delle proprie abilità scolastiche, le inclinazioni personali, gli aspetti logistici e così via: se non sono interessato ai computer e non sono bravo in matematica, è per me insensato iscrivermi a ingegneria dell’informazione, anche se questa laurea garantisce un buon lavoro.
Nessuno può poi dire se il mercato del lavoro, fra tre, cinque o otto anni, sarà del tutto simile a quello di oggi. Inoltre, per alcune professioni sarebbe necessario guardare alle prospettive di carriera di medio e lungo periodo, senza fermarsi all’anno successivo alla laurea.
Infine, alcuni corsi di studio sono stati di recente profondamente rinnovati, spesso considerando in modo attento proprio le prospettive occupazionali, ma gli studenti che li stanno affrontando non si sono ancora affacciati sul mercato del lavoro. Pur con tutti questi distinguo, pensiamo che prima di iscriversi a un dato corso di laurea, uno studente debba essere consapevole delle prospettive lavorative che questo titolo garantisce. Sudare per tre o cinque anni sui libri, per ritrovarsi poi con un bagaglio di sapere e cultura non spendibile sul lavoro, può generare in un giovane rancore, frustrazione e senso di fallimento.
I dati illustrati qui sotto possono essere utili anche per i professori delle università di Padova e di Venezia, quando si trovano a preparare i programmi dei loro insegnamenti, a costruire i percorsi di studio, a definire i criteri di ingresso e così via.
Obiettivo dell’università non è solo insegnare cose immediatamente utili per il lavoro. Tuttavia, i docenti del 20% dei corsi di studio – dove più di un laureato lavoratore su tre afferma di utilizzare poco o per nulla le nozioni imparate in università – qualche domanda dovrebbero ben porsela. E lo stesso dovrebbero fare i docenti di quelle decine di corsi di studio dove – un anno dopo la laurea – il tasso di disoccupazione è superiore al 30%.
Purtroppo, nella distribuzione delle risorse economiche alle università il ministero dà poco peso alle performance lavorative dei laureati. Vengono considerati altri aspetti (tutti importanti, per carità) come il numero degli iscritti, la proporzione di abbandoni, la quota dei laureati in corso. Per rispetto degli studenti e delle loro famiglie, l’offerta formativa dell’università dovrebbe tenere maggiormente conto delle prospettive effettive del mondo del lavoro. Non va bene che, un anno dopo aver conseguito il titolo a Padova o a Venezia, il 20% dei laureati magistrali sia disoccupato.
Infine, questi dati dovrebbero fare riflettere le classi dirigenti. È possibile che in una regione come il Veneto, piena di storia, di archivi inesplorati, di opere d’arte magnifiche, un anno dopo la laurea le poche decine di laureati in belle arti, storia e archeologia non abbiano trovato un lavoro congruente con i loro studi?
È possibile che il sistema di welfare veneto – che deve ogni giorno affrontare problemi enormi, come il disagio psichico di giovani e anziani, le vecchie e le nuove dipendenze, la violenza sulle donne e sui minori… – faccia così fatica a rinnovare e rimpinguare i quadri degli assistenti sociali, degli psicologi, degli educatori?
E perché lo Stato, la Regione e gli Enti Locali assumono così pochi medici, insegnanti, impiegati amministrativi, quando ormai da un decennio è noto che nel 2015-30 ci sarebbe stato un picco di pensionamenti? E infine, come mai le imprese venete fanno così fatica a collocarsi su alti livelli tecnologici e organizzativi e a crescere di dimensione? Le imprese piccole e scarsamente innovative raramente sentono la necessità di assumere laureati, ma spesso hanno il fiato corto e un futuro incerto.
Lo sfasamento fra studio e lavoro è uno dei maggiori problemi dell’Italia e del Veneto contemporanei, determinato da svariati fattori: le aspettative mal riposte dei giovani e delle loro famiglie, le discutibili scelte delle università e delle imprese, la scarsa lungimiranza della politica. La puntuale conoscenza di alcune informazioni sul lavoro dei laureati potrà forse aiutare ad aumentare la consapevolezza del problema, indicando la strada per intravedere qualche soluzione, ed aiutando i giovani a fare scelte più lungimiranti.
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Nota di metodo. Alma Laurea è una società che, ormai da vent’anni, intervista tutti i laureandi e i laureati di gran parte delle università italiane, facendo domande sulla carriera scolastica, sulle opinioni riguardo al corso di laurea frequentato, sulle esperienze di lavoro. Questi dati aggregati sono liberamente consultabili e scaricabili dal sito www.almalaurea.it.
I dati considerati in questo articolo riguardano i laureati del 2017 nelle università di Padova, Venezia Ca’ Foscari e Venezia IUAV (7.772 laureati triennali, di cui 3.140 non iscritti a una laurea magistrale, 4.683 magistrali e 1.003 a ciclo unico), che hanno risposto all’intervista di Alma Laurea un anno dopo la laurea. Non riportiamo i dati per le 19 classi di laurea triennali con meno di 20 laureati rispondenti non iscritti a una laurea magistrale (in tutto 186 laureati) e per le 13 classi di laurea magistrali con meno di 15 laureati rispondenti (101 laureati).
La proporzione di rispondenti è sufficientemente alta (79%) per affermare che questi dati ben rappresentano l’intera popolazione. Tra i laureati triennali rispondenti non sono compresi quei pochi che, dopo la laurea, si sono iscritti a un’altra laurea triennale. I dati sul tipo di lavoro si riferiscono complessivamente a 5.779 laureati che lavorano un anno dopo la laurea (2.282 con laurea triennale, 2.963 con laurea magistrale e 534 con laurea a ciclo unico), non tenendo conto né dei lavori episodici (tipo cameriere nei week end o baby sitter a ore) né delle attività di tirocinio (ad esempio, sono esclusi gli specializzandi di medicina e i tirocinanti di giurisprudenza).
Presentiamo i dati non per corsi di studio ma per classi di laurea, definite dai decreti ministeriali, e uguali per tutta Italia. Consultando i siti delle tre Università, è facile risalire dalle classi di laurea ai singoli corsi di studio, le cui performance lavorative specifiche sono peraltro consultabili sul sito di Alma Laurea.
Per ogni classe di laurea abbiamo costruito l’indice sintetico del lavoro, come media semplice di sei indicatori, tutti relativi alla condizione lavorativa a un anno dalla laurea (fra parentesi il loro valore teorico massimo e minimo): tasso di disoccupazione secondo la definizione Istat, ossia il rapporto fra chi cerca lavoro e la somma fra chi lavora e chi cerca lavoro (0-100%), tempo di attesa fra laurea e inizio del primo lavoro non episodico (0-12 mesi), % di lavoratori a tempo indeterminato (0-100%), numero di ore lavorative settimanali (10-50 ore), retribuzione oraria netta (3-20 euro), % che ritiene efficace la laurea nel lavoro (0-100%).
Ognuno di questi sei indicatori è stato rielaborato in modo da valere 100 in caso di valore massimo, cioè di condizione lavorativa ottimale, 0 in caso di valore minimo. Quindi, l’indice del lavoro varrebbe 100 per una classe per cui – un anno dopo la laurea – non ci sono disoccupati, il primo lavoro non episodico è iniziato subito dopo la laurea, tutti lavorano a tempo indeterminato, tutti lavorano 50 ore settimanali per una retribuzione di 20 euro l’ora e tutti i lavoratori intervistati considerano quanto studiato in università efficace per il lavoro.

I corsi di studio che garantiscono migliori performance lavorative sono quelli legati all’informatica, all’ingegneria, alla salute e all’economia, con l’aggiunta della fisica e delle scienze dei servizi giuridici – i consulenti del lavoro – (per i laureati triennali), della statistica e della matematica (per i laureati magistrali).
Ottimo il risultato anche per i laureati in scienze delle pubbliche amministrazioni, che però spesso sono studenti-lavoratori con posto fisso, che frequentano questo corso alla ricerca di una progressione di carriera (lo stesso accade per i laureati magistrali in professioni sanitarie). Queste classi di laurea occupano i primi 15 posti (su 37) nelle lauree triennali, e i primi 25 (su 80) nelle lauree magistrali nel nostro indice sintetico del lavoro, che tiene conto del tasso di disoccupazione, del tempo impiegato per la ricerca di lavoro, della proporzione di lavoratori a tempo indeterminato, del numero di ore lavorate, della retribuzione oraria e dell’efficacia della laurea nel lavoro svolto.
Da segnalare la posizione del folto gruppo dei 392 laureati triennali in infermieristica e ostetricia che non hanno proseguito gli studi. Un anno dopo la laurea, sono 354 gli infermieri e gli ostetrici che lavorano, il 27% a tempo indeterminato, per una media di 36 ore settimanali e con una retribuzione mensile netta di 1.380 euro (9 euro l’ora). Mediamente, hanno trovato lavoro 2,3 mesi dopo la laurea, e il 95% afferma che la laurea è efficace per la professione che stanno svolgendo. Giovani infermieri e ostetrici vantano un tasso di disoccupazione di appena il 7%.
Sul versante opposto troviamo le classi di laurea umanistiche, quelle dell’ambito psicologico e delle scienze sociali, ma anche qualche classe di laurea in scienze naturali, come le magistrali di biologia e di scienze della natura.
Particolarmente critica è la situazione di alcuni corsi di laurea molto numerosi. Ad esempio, nel 2018, un anno dopo la laurea, hanno risposto al questionario Alma Laurea 632 laureati di psicologia (più del 10% dei laureati magistrali che hanno risposto al questionario, fra Padova e Venezia). Solo 248 di questi hanno dichiarato di lavorare, il 17% dei quali a tempo indeterminato, per un tempo medio settimanale di appena 24 ore, con 775 euro di guadagno mensile netto (7,6 euro l’ora).
Solo il 62% di questi lavoratori ha affermato che la laurea è efficace per il lavoro che sta svolgendo. Hanno trovato lavoro 5,4 mesi dopo la laurea, e il loro tasso di disoccupazione è del 37%, molto superiore rispetto al già alto 20% della media dei laureati magistrali degli atenei veneziani e patavino.
In mezzo a queste enormi differenze, troviamo situazioni variegate, alcune delle quali scandalose. Ad esempio, i 15 laureati in scienze dello spettacolo e produzione multimediale allo IUAV che un anno dopo la laurea lavorano, sono mediamente impegnati per 43 ore la settimana, per il 100% affermano che la laurea è efficace o molto efficace per il lavoro svolto, ma guadagnano appena 1.042 euro (5,7 euro netti all’ora…).
Forse compensi così bassi sono possibili ricordando la dura legge della domanda e dell’offerta: il 40% dei laureati di questa classe, a un anno dalla laurea, è ancora disoccupato. Una situazione simile è vissuta anche dai laureati magistrali padovani in teorie della comunicazione: alta disoccupazione, lunghi orari di lavoro e bassi compensi per chi lavora, peraltro in campi pertinenti agli studi svolti.
Molti dei laureati a ciclo unico sono impegnati – un anno dopo la laurea – in tirocini e specializzazioni, non considerate da Alma Laurea come attività lavorative. Fra quanti lavorano, molto diversa è la situazione dei due gruppi numericamente più consistenti, i medici e i giuristi. I primi godono dei compensi più elevati di tutte le classi qui considerate: 29 ore settimanali, 1.931 euro mensili per 15,5 euro l’ora; i secondi lavorano di più (32 ore alla settimana), ma guadagnano la metà, ossia 989 euro mensili per 7.1 euro l’ora.
Anche queste differenze possono essere in parte spiegate con la legge della domanda e dell’offerta: il tasso di disoccupazione è solo dell’11% fra i medici, mentre schizza al 30% fra i giuristi. Da sottolineare anche l’ottima performance dei laureati in scienze della formazione primaria (i corsi di laurea a ciclo unico che formano i futuri maestri elementari e delle scuole per l’infanzia): disoccupazione bassissima, basso tempo d’attesa per trovare lavoro, paga oraria relativamente alta (più degli informatici e degli ingegneri con laurea magistrale) per un lavoro da tutte – sono quasi tutte donne – ritenuto pertinente rispetto agli studi.
Questo risultato mostra che l’equazione studi umanistici = disoccupazione / sottoccupazione / occupazione non pertinente agli studi non è scontata. Anche le altre classi di laurea di scienze dell’educazione (triennali e magistrali) garantiscono buone performance lavorative, quasi sempre superiori rispetto delle altre classi di laurea umanistiche e migliori rispetto a molte lauree delle classi delle scienze naturali.
Questi dati confermano la grande variabilità delle performance lavorative fra i diversi corsi di laurea, dando forza ad alcuni luoghi comuni, ma sfatando anche qualche mito. È bene che i giovani veneti che si trovano oggi a dover scegliere il loro futuro accademico lo facciano tenendo conto (anche) di questi dati sulle reali esperienze lavorative dei loro fratelli maggiori.
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