Elezioni, come voteranno gli operai? Viaggio all’Electrolux di Susegana
Nella fabbrica che sciopera per i Fridays for future e per la giornata internazionale della donna, il Pd non tocca palla. «Il Partito democratico? Qui lo votano solo gli impiegati e pure quelli di alto livello», raccontano le tute blu della Electrolux di Susegana, impermeabili persino a Giorgia Meloni, che in questa fase sembra avere il tocco del Re Mida. Nella sede veneta della multinazionale svedese degli elettrodomestici, i partiti egemoni sono Lega e Movimento 5 Stelle. Eppure la storia di questa azienda parla anche di un certo Renato Donazzon, operaio alla Zoppas negli anni Sessanta divenuto parlamentare del Pci negli anni Ottanta. Oggi, a livello sindacale, è la Fiom a detenere la maggioranza delle tessere. Ci sono, dunque, sia una storia che una lotta sindacale di sinistra vera. Tutto questo, però, non trova poi una corrispondenza alle urne.
Sono le 13.05 quando i primi operai iniziano a uscire dopo il turno del mattino. I tornelli all’ingresso ricordano a chi varca la soglia che il lettore di Green pass è stato disattivato, mentre un tabellone luminoso indica che sono trascorsi 20 giorni senza infortuni sul lavoro.
«Io non ho dubbi», dice Laura Celot. «Voterò senza dubbio Lega. L’alleanza con FdI mi piace».
«Ma quale Salvini, io voto 5 Stelle. Almeno loro hanno contribuito a far tagliare i parlamentari. Inoltre, è giusto che chi ha bisogno di assistenza riceva un aiuto dallo Stato».
Un operaio di Electrolux percepisce uno stipendio che, mediamente, si aggira intorno ai 1.400 euro. Non è un questione di assistenzialismo quindi, il proliferare del voto grillino tra i reparti. «È più per la loro forza anti-sistema» ragiona Stefano Granzotto, altro operaio a fine turno. «L’anti-politica aveva avuto un grande effetto, tale da mettere in crisi anche il partito egemone in questo territorio, cioè la Lega. Ora c’è stato un riequilibrio. Qui dentro, comunque, se la giocano queste due forze».
Alla Electrolux di Susegana ci sono circa mille operai. Chi ci lavora dentro da quasi 40 anni fiuta l’aria e intercetta il sentimento prevalente. Augustin Breda (è nato in Francia, il nome va letto alla francese) è forse l’interprete migliore del cuore che batte nel mezzo della catena di montaggio. «Metà dei miei colleghi non andrà a votare, tutti gli altri sceglieranno Lega, 5 Stelle e Paragone. Io invece voto Unione Popolare di De Magistris. Sto convincendo più di qualcuno a fare lo stesso», dice orgoglioso mentre alcuni sostenitori del partito dell’ex magistrato improvvisano un banchetto proprio davanti ai cancelli.
Tocca però capire come mai la sinistra tradizionale non entra più in questa fabbrica. Cosa è successo? Quale cambiamento ha innescato la rottura del patto tra le tute blu e i partiti dell’area democratica? «Il Pd ha perso tutto il seguito che aveva dopo la Fornero e dopo il jobs act di Renzi» continua Breda. «Quanto all’astensionismo, chi ci ha governato in questi anni ha prodotto un arretramento costante dei diritti dei lavoratori. Per questo quasi 500 miei colleghi non andranno a votare».
Modou Ndiaye, operaio senegalese assunto da 23 anni, dice che voterà De Magistris.
Mariassunta Dal Cin sceglierà qualcuno a destra: «Ma sono confusa e sfiduciata».
Sohan Lal, indiano, voterà Salvini: «Mi piace perché pensa prima di tutto all’Italia». (!)
Il collega connazionale Baldev Raj Mal lo guarda attonito: «A me piaceva Draghi».
«Ormai gli operai votano a destra, le forze socialiste hanno fallito», evidenzia Daniele Pessotto. «Comunque sia, l’importante è andare a votare».
Giovanna Cirillo ascolta e sventola il volantino di Unione Popolare: «Questo è il partito che ci rappresenta adesso».
Negli anni storici delle conquiste, gli operai di questa azienda arrivarono a bloccare la produzione per 40 giorni, pur di ottenere il diritto a mezz’ora di mensa in orario di lavoro. «In fabbrica non entrava neanche una mosca», ricordano fieri. C’erano la sezione del partito comunista e del partito socialista all’interno della fabbrica. E quando nel 2014 si diffuse la notizia che la multinazionale svedese voleva tagliare, ci fu uno sciopero di 15 giorni consecutivi che costrinse l’azienda ad arretrare.
Oggi è una delle poche aziende in Italia che utilizza tutte le 10 ore annue di assemblea previste dal contratto. È anche una delle poche a fare scioperi politici, come quello per Fridays for future e per la giornata internazionale della donna. L’adesione sfiora percentuali che oscillano tra il 70 e il 90%.
«La classe operaia non sa più chi votare. Non c’è più un riferimento. Non sanno a chi rivolgersi, perché non c’è nessuno che parla a noi, agli operai», dice Vittorio Bortoluzzi.
Di lì a poco si alza la sbarra, esce un’Alfa Romeo Stelvio con alla guida in uomo in camicia bianca. «Ecco, quello sicuramente vota Pd. È uno dei dirigenti. A lui certamente fa comodo il partito della stabilità».
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