Elezioni, l’analisi di Guolo: “Lega, ultima chance per non affondare con Salvini”
La Lega è, insieme al Pd, la grande sconfitta delle elezioni. Sconfitta che pesa ancora di più, dal momento che la coalizione di cui fa parte ha ottenuto una larga maggioranza. Il partito di Salvini – tale, persino nei meccanismi statutari, è la Lega per/di Salvini, confezionata su misura dal segretario per sostituire quello che era considerato il desueto vestito padanista, gettato alla rinfusa in quella bad company politica che è diventata la Lega Nord– è stato non doppiato ma “triplato” da FdI. Non solo nei tradizionali bacini elettorali dell’alleato competitore, ma persino in importanti aree del Nordest, dove il tracollo assume i tratti di un vero terremoto elettorale.
Sconfitta tanto più grave perché rivela oltre che gli evidenti limiti politici del leader, quelli della sua strategia, fallita su tutta la linea.
Salvini aveva scommesso sul cambio di identità della Lega, facendone una formazione non più radicata territorialmente a Nord ma con ambizioni nazionali: da qui lo sbarco a Sud e l’accantonamento del profilo autonomista.
Obiettivo: diventare il primo partito della destra italiana e andare a Palazzo Chigi. Risultato: non solo non è riuscito a sfondare nel Mezzogiorno, ancora sensibile alle sirene protettive dei pentastellati e al richiamo della destra centralista, ma ha perso consenso anche a Nord, dove buona parte dell’elettorato leghista ha votato Fdi. Dando forma a un paradossale paradosso: imprenditori e artigiani che guardavano a Draghi come a una sorta di totem non hanno perdonato al leghista l’aver abbattuto l’esecutivo guidato dall’ex–governatore della Bce e hanno preferito votare la neoatlantica ma sovranista e antieuropeista Meloni, unica oppositrice del governo Draghi, nonostante molti di loro, dipendano, nell’attività, da uno stretto rapporto con la Ue e, in particolare, con la Germania.
Scelta che conferma il giudizio negativo sulla zigzagante politica di Salvini, passato dal governo gialloverde, immolato poi nel suicidio del Papetee mentre aveva in mano non solo l’esecutivo ma anche il Paese, al colpo contro l’osannato Draghi.
Ciliegina finale: la dissipazione del consenso ha fatto della Lega un partito ormai ancillare a Fdi che, con buona pace dei fautori dell’autonomismo, si vuole oltretutto centralistico “partito della nazione”.
Un vero capolavoro politico! Ora, che da un simile disastro Salvini pensi di uscire con qualche pannicello caldo e facendo i capricci nel nuovo governo è pia illusione. La Meloni, che intende negargli i ministeri di peso– certo per attenuare le pressioni di poteri forti e alleati internazionali, preoccupati dalle pulsioni putiniane del leghista, ma anche per ridurre ai minimi termini il suo partito e assorbirne l’elettorato-, attende ben piantata sulla riva del fiume.
Se l’altra Lega, quella di Zaia e Fedriga, e dei vecchi federalisti, esiste davvero, deve battere un colpo ora, prima che il Capitano fuori rotta trascini definitivamente a fondo nave, equipaggio, e i pochi soccorritori rimasti nei paraggi
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