Ervas: Le panchinone, moderni monumenti da cui si vede la fragilità dell’ambiente

Le sedute giganti sono state collocate nei punti panoramici come ulteriori attrazioni. Gli ambientalisti le vogliono togliere «perché trasformano luoghi naturali in luna park»

Fulvio Ervas

Niente, ci voleva un americano per darci l’dea: Chris Bangle. Sono strepitosi, gli americani. Hanno inventato McDonald’s, la Nato e le “big benches for big asses”, che tradotto significa: “panchinone par culi grossi”.

Sono panchinone di più di due metri di altezza e tre- quattro di larghezza, dove puoi salire per vedere diversamente il paesaggio.

Perché un lago, una collina, le tre cime di Lavaredo non le puoi mica vedere bene se te ne stai con i piedi al suolo. Per secoli, infatti, non abbiamo visto niente. No, ti devi elevare: come salire su un campanile, un’antica torre, dominare lo spazio e lanciare lo sguardo verso l’infinito leopardiano.

Il paesaggio non è una complessa relazione tra territorio e azioni di modellamento umano, come si dice in tanti manuali, figurarsi un luogo di esperienze che si potenziano solo se procedi lentamente, a piedi o in bicicletta.

No, le “big benches for big asses” sono un punto statico, somigliano concettualmente più agli appostamenti per la caccia dei cinghiali o dei caprioli che all’osservazione estasiata davanti alla Gioconda.

Però l’idea è formidabile, può suscitare utilizzi creativi. Gli americani, si sa, sono un popolo pratico, ciò spiega perché Edison batté il romantico, e serbo, Tesla nella battaglia per la corrente elettrica.

Le “big benches” possono scatenare il bimbo che è in noi e perciò, da lassù, si possono fare selfie inconsueti e video che immortalano lo schienale della panchinona mentre sopra sorvola un raro rapace. Oppure smuovere il cuoco interiore e quindi spingerci a issare sulla panchinona un barbecue, che tradotto significa “rostidora”, dove cucinare “do costesine e do salsice”. I pantofolai potrebbero usare la panchinona per guardarsi le serie Netflix, mentre cala il tramonto sul paesaggio (che non ricordiamo già più quale sia).

Naturalmente i più sensibili, tra i panchinonari, sapranno cogliere anche il senso spirituale insito nel manufatto di legno: ridimensionare la figura umana facendole assumere simbolicamente un aspetto fanciullesco a ricordarci che l’uomo è nulla rispetto alla grandezza e bellezza del territorio.

Proprio per questo stupisce che tali opere non siano gradite agli ambientalisti. Sarebbe comprensibile l’opposizione dei cittadini con qualche disabilità, perché le panchinone non sembrano dotate di accesso facilitato.

Al contrario, gli ambientalisti dovrebbero essere felici che un famoso designer d’automobili, uno dei mezzi più anti-ambiente che abbiamo inventato, si sia convertito al godimento del paesaggio. Chris Bangle che ha militato, per decenni, nel partito degli inquinatori e prende finalmente coscienza della bellezza della natura, e la vuole celebrare con un manufatto potente, non rappresenta una vittoria morale? Non è la dimostrazione che ambiente e ambientalismo sono le parole del futuro, sono il futuro: non i centri commerciali, le asfaltature, le cementificazioni, non i cretini che sono convinti che il mondo finirà alla loro scomparsa e perciò se lo ingoiano ogni giorno.

Se fossi un ambientalista più militante di quel che sono, coglierei l’occasione e andrei sulle panchinone a metterci pubblicità su corsi di educazione ambientale, perché questo paese (e anche l’intero Veneto) ha bisogno di imparare a tutelare la barca con cui attraversa l’oceano della vita. Perché troppi, davvero troppi, sono convinti che bucando questa barca si rimanga comunque a galla.

O seduti, comodi, su una panchinona mentre tramontiamo tutti noi...

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